Bariccate
Su "Next" si è scatenato il putiferio del benpensantismo consapevole sinistrese e sinistrante, dalli a quelli che vogliono dire la loro a tutti i costi e amen.
Premesso dunque che:
1) è indubbio che il mondo non abbia bisogno dell'opinione a tutti i costi originale di Baricco, né della mia, né della nostra,
2) il libro è orchestrato maluccio da risultare spesso deviante rispetto a qualche buona riflessione che vale la pena fare,
3) il linguaggio semplicista non coglie sempre nel segno, se il segno era quello di comunicare ai non addetti ai lavori,
ecco premesso tutto questo, dimentichiamoci chi ne sia l'autore e guardiamoci dentro.
Primo capitolo: insignificanza della parola globalizzazione in quanto abusata per designare non si sa bene cosa. E come dargli torto? Come non convenire sul fatto che per molti aspetti si fraintende globalizzazione per internazionalizzazione? Come ignorare che l'apertura dei mercati/frontiere sia una realtà precedente alla deriva globalizzante nel senso deteriore, pur essendone prodromo necessario e non sufficiente?
Il fatto di domandarsi se veramente "tutti", ossia la popolazione mondiale appiattita su alcuni comportamenti imposti dalla sapiente comunicazione di massa, bevano Coca Cola o facciano acquisti su internet, non è una domanda anodina. Serve solo a sfuggire ad una facile massificazione dei comportamenti, e quindi alla tecnica di comunicazione sopra citata che è strumento primario della globalizzazione deteriore. Vedasi in merito l'ampia letteratura sui "brand" e la capacità delle recenti campagne di comunicazione a trasferire nel concetto di "brand" un modo di vivere a tutto tondo. Che è poi la denuncia di No Logo.
Dunque, primo punto fermo: è bene sapere che non è vero che tutti fanno quello che la grancassa pubblicitaria, spaccona o subliminale, megafona nelle nostre orecchie e nei nostri occhi.
Una seconda considerazione è sulla necessità della "pace". Il mercato ha bisogno di pace per farsi i cazzi suoi; questo non significa che la guerra non si faccia più (figurarsi!), significa solo che si fa "altrimenti". Non l'ha scoperto Baricco, ma magari è bene ricordarselo lo stesso.
Secondo capitolo: in cui si evita di nominare la parola "democrazia" e si parla della prevalenza della legge del più forte quale tributo da pagare ai benefici frutti della globalizzazione nelle nostre case primomondiste. La legge del più forte non può essere stretta tra i lacci e laccioli delle regole, delle leggi, dei controlli. Questa robetta adesso si chiama giustizialismo, versus il "garantismo" che nella nuova accezione sarebbe il diritto inalienabile di fare come cazzo ti pare.
Dunque: ci incazziamo con Baricco per il suo linguaggio semplice e banale ma di converso continuiamo a dare spago ai riformatori del lessico, gli spacciatori di parole false, gli stravolgitori di "senso comune". Io credo che per l'intanto dovremo bandire parole come garantismo dal nostro eloquio quotidiano, perché rischiamo solo di non capirci, perché ormai si usano alcune parole per affermare il loro significato ed il loro esatto contrario.
Evitiamo dunque di parlare di democrazia.
Frase ricorrente: "non siamo contro la globalizzazione, siamo contro i guasti che questa produce", virgolettata anche dal nostro. Sarà banale, ma in strada la gente, stretta tra i girotondi, i no e new global e i Mc Donald's, dice esattamente questo. Che non vuol dire rigorosamente nulla. Parole al vento.
Le due cose non sono scindibili, non esiste una globalizzazione "pulita".
Ma qual è allora il prezzo da pagare? E non è forse troppo caro? E quel prezzo non significa riazzerare gli ultimi due secoli di storia, sociale, civile, militare?
Questo dice Baricco. Noi rispondiamo: lo sapevamo. Noi. Presuntuosi. Il 90% del pianeta non lo sa. Non sa che dietro la nuova etichetta "globalizzazione" si cela né più né meno il concetto imperialista puro e duro della "legge del più forte".
E ci dovremmo pure domandare se esiste una "legge del più forte" pulita????
Terzo capitolo: smetterla di pensare a proteggere il mondo dall'invasione dei marchi, in qualche modo pretestuosa - vera ma deviante - (vedasi gli azzardati paragoni tra il brand Nike e il brand Beethoven) in quando il mondo ha maturato i suoi anticorpi (almeno qualcuno), e chiedere a quel mondo che assomiglia tanto al popolo bue di Giorgio Bocca, di fare sogni grandi, di non limitarsi ai sogni piccoli pasciuti da manager e banchieri. Già.
E il no all'omologazione non viene dal non mettersi le mutande Calvin Klein, comportamento imitativo (e quindi rassicurante) perpetrato da che si conosce la storia dell'uomo, così come andarsi a comprare un disco di Chopin perché "s'ha da fare", salvo poi scoprire che ci piace, ma il trucco è tutto lì, nello scoprirlo dopo.
Una sola cosa non sa Baricco, e non è da poco. Che il movimento dei movimenti di proposte concrete e realizzabili ne ha tante, che di conferenze in materia se ne tengono ormai a migliaia in tutto il mondo, che ovviamente i media non ne parlano e che quindi accedere a questo tipo di informazione non è affatto facile. Avrebbe potuto studiare dieci minuti di più e metterci indirizzi come questo, dopo la parola "fine": www.attac.org (uno per tutti).
Premesso dunque che:
1) è indubbio che il mondo non abbia bisogno dell'opinione a tutti i costi originale di Baricco, né della mia, né della nostra,
2) il libro è orchestrato maluccio da risultare spesso deviante rispetto a qualche buona riflessione che vale la pena fare,
3) il linguaggio semplicista non coglie sempre nel segno, se il segno era quello di comunicare ai non addetti ai lavori,
ecco premesso tutto questo, dimentichiamoci chi ne sia l'autore e guardiamoci dentro.
Primo capitolo: insignificanza della parola globalizzazione in quanto abusata per designare non si sa bene cosa. E come dargli torto? Come non convenire sul fatto che per molti aspetti si fraintende globalizzazione per internazionalizzazione? Come ignorare che l'apertura dei mercati/frontiere sia una realtà precedente alla deriva globalizzante nel senso deteriore, pur essendone prodromo necessario e non sufficiente?
Il fatto di domandarsi se veramente "tutti", ossia la popolazione mondiale appiattita su alcuni comportamenti imposti dalla sapiente comunicazione di massa, bevano Coca Cola o facciano acquisti su internet, non è una domanda anodina. Serve solo a sfuggire ad una facile massificazione dei comportamenti, e quindi alla tecnica di comunicazione sopra citata che è strumento primario della globalizzazione deteriore. Vedasi in merito l'ampia letteratura sui "brand" e la capacità delle recenti campagne di comunicazione a trasferire nel concetto di "brand" un modo di vivere a tutto tondo. Che è poi la denuncia di No Logo.
Dunque, primo punto fermo: è bene sapere che non è vero che tutti fanno quello che la grancassa pubblicitaria, spaccona o subliminale, megafona nelle nostre orecchie e nei nostri occhi.
Una seconda considerazione è sulla necessità della "pace". Il mercato ha bisogno di pace per farsi i cazzi suoi; questo non significa che la guerra non si faccia più (figurarsi!), significa solo che si fa "altrimenti". Non l'ha scoperto Baricco, ma magari è bene ricordarselo lo stesso.
Secondo capitolo: in cui si evita di nominare la parola "democrazia" e si parla della prevalenza della legge del più forte quale tributo da pagare ai benefici frutti della globalizzazione nelle nostre case primomondiste. La legge del più forte non può essere stretta tra i lacci e laccioli delle regole, delle leggi, dei controlli. Questa robetta adesso si chiama giustizialismo, versus il "garantismo" che nella nuova accezione sarebbe il diritto inalienabile di fare come cazzo ti pare.
Dunque: ci incazziamo con Baricco per il suo linguaggio semplice e banale ma di converso continuiamo a dare spago ai riformatori del lessico, gli spacciatori di parole false, gli stravolgitori di "senso comune". Io credo che per l'intanto dovremo bandire parole come garantismo dal nostro eloquio quotidiano, perché rischiamo solo di non capirci, perché ormai si usano alcune parole per affermare il loro significato ed il loro esatto contrario.
Evitiamo dunque di parlare di democrazia.
Frase ricorrente: "non siamo contro la globalizzazione, siamo contro i guasti che questa produce", virgolettata anche dal nostro. Sarà banale, ma in strada la gente, stretta tra i girotondi, i no e new global e i Mc Donald's, dice esattamente questo. Che non vuol dire rigorosamente nulla. Parole al vento.
Le due cose non sono scindibili, non esiste una globalizzazione "pulita".
Ma qual è allora il prezzo da pagare? E non è forse troppo caro? E quel prezzo non significa riazzerare gli ultimi due secoli di storia, sociale, civile, militare?
Questo dice Baricco. Noi rispondiamo: lo sapevamo. Noi. Presuntuosi. Il 90% del pianeta non lo sa. Non sa che dietro la nuova etichetta "globalizzazione" si cela né più né meno il concetto imperialista puro e duro della "legge del più forte".
E ci dovremmo pure domandare se esiste una "legge del più forte" pulita????
Terzo capitolo: smetterla di pensare a proteggere il mondo dall'invasione dei marchi, in qualche modo pretestuosa - vera ma deviante - (vedasi gli azzardati paragoni tra il brand Nike e il brand Beethoven) in quando il mondo ha maturato i suoi anticorpi (almeno qualcuno), e chiedere a quel mondo che assomiglia tanto al popolo bue di Giorgio Bocca, di fare sogni grandi, di non limitarsi ai sogni piccoli pasciuti da manager e banchieri. Già.
E il no all'omologazione non viene dal non mettersi le mutande Calvin Klein, comportamento imitativo (e quindi rassicurante) perpetrato da che si conosce la storia dell'uomo, così come andarsi a comprare un disco di Chopin perché "s'ha da fare", salvo poi scoprire che ci piace, ma il trucco è tutto lì, nello scoprirlo dopo.
Una sola cosa non sa Baricco, e non è da poco. Che il movimento dei movimenti di proposte concrete e realizzabili ne ha tante, che di conferenze in materia se ne tengono ormai a migliaia in tutto il mondo, che ovviamente i media non ne parlano e che quindi accedere a questo tipo di informazione non è affatto facile. Avrebbe potuto studiare dieci minuti di più e metterci indirizzi come questo, dopo la parola "fine": www.attac.org (uno per tutti).
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