Grande Capo Trocantere Destro
Ci sono pezzi di noi che quando ti mancano fanno più danno
di un'amputazione netta e visibile.
Mi sono tagliata un dito, un minuscolo pezzo di mignolo
rimasto sul coltello, manovrato sempre troppo frettolosamente. Non riesco più a
fare niente: il taglio è stato talmente netto e sbrigativo che lì per lì non ho
sentito alcun dolore, se non la staffilatina lieve.
Ma non riesco più a fare niente, le mani incespicano, non
tengono, ed ho cominciato col chiedermi se alcuni pezzi di noi abbiano un peso
specifico tale da occupare in realtà molto più spazio di quanto la superficie
di corpo non conceda loro.
Così succede che un piccolo pezzo, trascurato e che non
chiede neanche attenzioni di routine, si faccia spazio e diventi invadente e
prepotente. Quanti pezzi di noi sono così? Quante parti trascuriamo
semplicemente perché funzionano e sembrano non avere alcuna importanza,
particine secondarie, a volte comparse, che poi un giorno si vendicano e
chiedono cittadinanza?
Nell'abulia estiva ho voluto cominciare a fare questo conto:
mi conto i pezzi, prendo carta e penna e non mi si parli delle tavole del
dizionario: quell'energumeno là rappresentato, una volta coi soli fasci di
muscoli, un'altra solo le vene e le arterie, un'altra, se va bene, con gli
organi funzionali, un'altra tutt'ossa che paion sassi, ecco quel coso lì non
sono io e di me rappresenta manco tutto quello che si tocca, o che io posso
toccare, farci conoscenza, addomesticare. Quello è una macchinetta, assai ben
congegnata, l'essere bionico per eccellenza, ma che c'entra con me?
Dunque conto i pezzi e mi accorgo immediatamente che ci sono
un sacco di parti cui non so dare il nome, ed immagino quanto siano arrabbiate
a non sentirsi mai chiamare, e se le cose non le chiami, loro non rispondono, e
questo è normale, la sillabazione, prima che comunicazione, è riconoscimento.
Gli appunti finiscono presto e resto delusa davanti alla mia
lista: questo è un "uomo" (ossia, una donna, ma nella fattispecie fa
uguale). Porco giuda che oggettino miserabile. Mi sento per un istante come la
lista della spesa, un elenco di roba abbastanza indispensabile che assurge alla
dignità di pasto solo quando assembli il tutto con una ricetta.
Ecco, come in cucina, il segreto dello chef sta nelle dosi,
nella combinazione di sapori, consistenze e aromi, nella correttezza dei tempi
di preparazione, nella dedizione che ci metti (che pare abbia una qualche
funzione, l'amore che scappa fuori dalle mani per qualche miracolo energetico
entra nella ricetta, pare, pare, mah) e insomma sono entrati in gioco un'altra
serie di fattori che finalmente complicano le cose e riassestano il mio amor
proprio.
Guardo di nuovo il pezzo di dito leso, mi fa pena,
poveraccio, vorrei dirgli due parole, consolarlo, mi avanzo con un asettico
"caro pezzetto di dito" e manco ho finito che si scatena il
putiferio. Le dita insorgono, tutte. Ferme! buone! e ora come scrivo?, avvicino
le mani alle orecchie e sento un ronzio sempre più forte, poi distinguo
"pazza furiosa, incosciente! Ignorante, anch'io sono un pezzetto di
dito!" e via dicendo, tralascio le scurrilità di cui sono capaci 'ste
pazze delle dita. Insomma, ho fatto la gaffe, come quando incontri uno che
dovresti conoscere, quello ti guarda, avanza verso di te e tu cerchi di nasconderti
dietro la prima signora in coda alla cassa, dietro a un palo, guardi ovunque
meno che davanti a te, ma niente, quello arriva e tu non sai come si chiama, e
neanche ti viene in mente, e non ti ricorda assolutamente niente, e ora come si
fa?
Missione impossibile, cerco di svicolare, prima lo chiamo
Giacomino, poi mi rendo conto dell'assurdità del tutto, di quanti pezzi unici
siete fatte ditacce del cavolo? Di quanti pezzi unici siamo fatti e come fare
per chiamarli tutti? Sbatto un piede a terra per richiamare tutti all'ordine e
proclamo: editto primo: ciascun pezzo si presenti, generalità, indirizzo e via
dicendo. I pezzi che non si saranno presentati al censimento non avranno
diritto alcuno al riconoscimento di cittadinanza ed agli innumerevoli vantaggi
che essa rappresenta (lusinga ruffiana, ma dovuta).
Qualcuno ha urlato: "A chi dobbiamo presentarci? si
presenti l'edittorialista, intanto!".
A questo non ero preparata, devo confessarlo. Volevo fare la
conta, dare un nome, riconoscere, e mi ritrovo con la rivoluzione addosso e
quel che è peggio non posso neanche sedarla con la forza!
A chi devono presentarsi, ma guarda tu che razza di domande
ti fanno i tuoi pezzi. Faccio un giretto rapido per vedere se i neuroni hanno
una risposta plausibile, possibilmente univoca, datemi il nome del capo,
accidenti, mai avrei pensato che un capo serve davvero, niente, non si trova il
capo, e non so chi sia quello che sta pensando tutto questo, perché è anche lui
un singolo pezzetto di cervello, e neanche lui si può nominare, e poi guai! se
entra in sommossa il cervello siamo fritti.
Ho solo due soluzioni e devo sbrigarmi a sceglierne una:
nessuno fa il capo, accettiamo la logica dei compartimenti funzionali, e il
primo che fa sciopero son cazzi nostri. Oppure nominiamo un capo, che so,
Grande Capo Trocantere Destro, e siccome non s'è mai visto un dittatore che
conosca uno per uno, e per nome, tutti i suoi sudditi, si rientri nei ranghi e
non se ne parli più.
Intanto le dita continuano farneticanti a ronzare:
"vogliamo le elezioni! libere elezioni!" e mi accorgo che il ronzio
comincia a risalire lungo il braccio, il fervore aumenta e la tensione pure.
Se il corpo comincia ad avanzare istanze corporative
chi si curerà poi del povero pezzetto di dito misconosciuto e senza potere
contrattuale?
Mentre io ragiono stoltamente di politica la rivolta si è
ormai estesa, fuori controllo e si cominciano a vedere striscioni e cartelli:
"circolazione libera, atri, ventricoli siete un po' ridicoli, firmato
comitato centrale arterovenoso", "aria libera, senza combustioni?
Levateci la gabbia, firmato i polmoni" e varia altra robaccia tra cui un
lenzuolone in cui l'intestino minacciava di riappropriarsi di spazi vitali a
lui più consoni e di invadere, srotolandosi, schiena e braccia e gambe e si
salvi chi può.
Quand'è così urge un terremoto. Mi butto in acqua e il
cambiamento di stato richiama tutti all'ordine, ognuno intento ad aggiustarsi
al nuovo ambiente. Silenzio. Tutto si è fatto improvvisamente leggero, avverto
una certa gratitudine da parte di un numero considerevole di pezzi che non
devono più puntellare tutta l'impalcatura.
Eppure il peso specifico del pezzo di dito è rimasto alto,
duole e non si rassegna: ricrescerà, ma non sarà più lo stesso e sta lì a dirmi
che non è vero che nessuno è indispensabile e che tutto si sostituisce, non è
vero, e lui stava bene com'era e che io avrei fatto bene a non usare armi
improprie e ora, a futura memoria, mi lascerà un segno e su quella cicatrice
non ci sarà più sensibilità, sarà roba morta, colla non mia, e nessun pezzo di
me la riconoscerà.
La signora Valvola Tricuspide, che non si sfiata mai, come
una comare nel vicolo, mi informa che non esistono capi senza sudditi, e poiché
dalle nostre parti (sic!) i sudditi sono irreperibili, la mia politica
politicante lascia il tempo che trova. Anarchici siete, oso sprezzante
sentendomi di colpo disarmata. No, solo co-ordinati, risponde insofferente.
Macché, siete invece pre-ordinati, voi e le vostre saccenti corporazioni. La
sento infuriarsi per la mia ottusità, e più lei sgamba, più mi sento sussulti
lungo l'esofago intervallati da leggere apnee.
"Noi impariamo a stare insieme, e non sempre ci riesce.
Io per esempio non vedo affatto di buon occhio il signor Colon Discendente, che
ogni volta che lavora abbassa l'efficienza di tutto il resto, per non parlare
di quella comunità di farabutti in cui militano il Peroneo Lungo, il Vasto
Laterale, il Gastrocnemio e non li sto ad elencare tutti che sono pure
cacofonici, ma insomma hai capito, quelli che a volte corrono, scarpinano,
piegano, e a quelli come noi non resta che compensare, assuefarci e sopportare.
Si impara, si impara dal primo all'ultimo giorno, e si cambia, ci si
adatta". Questa poi!
Dunque dovrei rassegnarmi al paradosso che le parti sono più
grandi del tutto che le contiene ... eppure non è vero, tutto è numerabile,
tutto quanto sia in uno spazio finito, delimitato, e la sillabazione è
intellettualmente ciò che l'enumerazione è fisicamente ed algebricamente.
Il dito geme, indifferente alle mie considerazioni
vagoscientifiche, e gli prometto di nominarlo: in fondo è l'unico modo che
conosco per dirgli che ogni sua parte mi è cara, per concentrarmi su di lui,
come un giorno su qualche altro pezzo che cadrà in disgrazia. Non vorrei
trovarmi nella situazione di Polifemo e a dover rispondere alla domanda "chi
ti fa male?" con un bel "nessuno".
Ricomincio la lista: Giacomino ...
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