7.1.04

Pascal Quignard: la lettura è erranza

... afferma Pascal Quignard, che ha ottenuto nel 2002 il premio Goncourt per il libro "Les ombres errantes" (le ombre erranti), di cui ho qualche difficoltà a dare una definizione, non è un romanzo, non è filosofia pura e dura, sono pensieri? sì, ovvio, ma in fondo è giusto il titolo, sono erranze. Il libro non è ancora tradotto in italiano, così mi permetto di offrire qualche passo, sul quale c'è di sicuro materia di discussione.


"Chi non ama ciò che egli ha amato? Bisogna amare il perduto ed amare fino al passato nel perduto.
Fino al giardino dell'estinzione della natura e fino al Paradiso nel Giardino.
Bisogna amare la mancanza e non cercare di emanciparsi da essa.
Bisogna amare la differenza sessuale;
amare la nudità negli orifizi della nudità;
amare la perdita.
Bisogna adorare il tempo
."

* * *

"Bisogna rinunciare all'idea di libertà per poter disobbedire ancora. Bisogna rinunciare all'idea di libertà per potersi emancipare ancora. Bisogna detestare l'adesso, ciò che ci aggrappa all'adesso, ciò che tenta di mantenere la realtà e la tensione delle forze che la bloccano. Bisogna odiare ciò che vieta l'accesso all'imprevedibile e all'irreversibile. Bisogna amare l'irreversibile. Bisogna scavare la differenza tra l'avvenimento ed il linguaggio.
Non bisogna mai uscire dal tempo che fu, dal corpo, dalla propria gioia, dal peccato, dalla genialità, dal silenzio, dalla vergogna, dall'aneddoto, dal "c'era una volta", dal privato, dall'incomprensibile, dall'incompleto, dal capriccio, dall'enigma, dal più umile dei fatti di cronaca, dal più ridicolo "si dice" che risale alla prima infanzia
."


Quello che amo in questi scritti è la forza del dinamismo, del non lottare contro gli eventi della vita ma lasciarsi a loro, per viverli, per superarli, per farli diventare il proprio passato che quindi si deve amare, unico quindi motivo di emancipazione. Lasciarsi andare non vuol dire subire. Vuol dire mettere ciascuno dei nostri neuroni al servizio della vita, per captarla tutta, prendendo anche il male, il dolore, come la gioia.
Certo accettare "l'irreversibile" mi suona strano. Mi fa paura, a dire il vero.
Ma a pensarci bene, in questo passaggio tra passato e futuro l'irreversibile è solo la possibilità di percorrerli nelle due direzioni.
Quante cose sono irreversibili? Ma non è geniale immaginare che proiettando il futuro nel passato in realtà ci sia un modo per rendere reversibile anche ciò che è stato?

E che dire poi dello scavare il solco tra fatti e linguaggio? come dire, le chiacchiere stanno a zero, o forse fatti e parole non si corrispondono per definizione e dunque è ben non farli corrispondere. Carina questa.