Scrittori? Mode d'emploi [cocteaucocteaucocteaucocteau]
"Così come a Roma, oltre ai Romani, vi era un popolo di statue, al di fuori di questo mondo reale esiste un mondo immaginario, forse molto più vasto, nel quale vivono la maggior parte degli uomini".
Con questo cappelletto di Goethe, Jean Cocteau stila il suo Cordone ombelicale, un piccolo saggio, tanto sottilmente autocelebrativo quanto autoflagellante (è un malanno tipico dei consapevoli, no?), su cosa sia l'arte, chi la fa, la scrive, in qualche modo la sputa fuori.
Ce n'è per tutti i gusti, ma mi piace riportare alcuni passaggi perché dotati di grande adattabilità a tanti eventi, e poi non ultimo all'annoso discorso del come si scriva, intimamente legato al perché.
Si parte intanto con le Muse e l'Autostop:
"... Mi è indispensabile svelare di aver scoperto che le muse, lungi dall'essere fate buone, sono mantidi religiose che divorano il maschio durante l'atto d'amore, e che la poesia piuttosto che una fascinazione è un sacerdozio, un monastero dove ci si deve chiudere a qualsiasi costo, dopo aver abbandonato il palco della distribuzione dei premi.
A dire il vero, importa evitare quel palco ove trionfa l'attualità, e lavorare sotto, nell'ombra del "chi perde vince", che si oppone alle fiamme del "chi vince perde" - metodo sfavorevole in un'epoca di fretta e d'immediatezza che ha dimenticato che le muse pazienti tendono la trappola dell'autostoppismo a coloro che non si rassegnano a proseguire a piedi la via dolorosa. I poeti devono vivere al di sopra dei mezzi della loro epoca, e la gloria accorderà i suoi a quelli che agonizzano tutta la vita ed anche dopo la morte."
Questa è per gli invidiosi a oltranza:
"È lunga la lista di coloro che sono spinti al razzismo dal malessere di non appartenere alla razza maledetta e che anche a costo di ricorrere al tavolino che ruota, si sforzano di penetrare gli arcani."
E qui si entra in tema:
"Insomma, più mi sforzo di penetrare nel mondo tenebroso in cui l'espirazione sostituisce l'ispirazione che dovrebbe arrivarci da qualche cielo, meno riesco a sciogliere la matassa di un filo che rischia ogni istante di rompersi e di lasciarci alle prese con i percorsi tortuosi del labirinto in cui ci conducono insieme la paura del Minotauro e la curiosità della percezione.
Perché non appena un'opera è scritta, essa è già postuma.
Sarei incapace di farne una copia e mi chiedo sempre cosa mi abbia reso capace di esserne l'autore. E penso che questa diversità dei miei cimenti non provenga solo dall'aiuto misterioso che mi dirige ma anche da Picasso, il cui esempio ci insegna, come dicono gli Orientali, a non "pestare mai due volte la coda della tigre". Non ignoro che il pubblico preferisca riconoscere piuttosto che conoscere e che il metodo che consiste nel non essere riconosciuti dalla forma del viso ma dallo sguardo, ci valga di essere ritenuti velleitari."
Ecco, questa storia del riconoscere in antitesi (o al meglio, premessa) al conoscere è una sintesi brillante della scelta del facile, TV versus libro, per esempio. E il facile rifiuta il nuovo, il diverso, l'estraneo, spesso relegandolo nella sfera dell'impossibile e archiviando colui che vi si cimenta con un bel cappellino appunto da velleitario. Mi vengono in mente alcuni atteggiamenti politici ... ma calza a pennello anche per il rifiuto storico, molto italiota, di relegare la scienza a pratica stregonesca ed in ogni caso non degna di sedere pariteticamente a fianco delle patrie lettere. Divago, mi scuso, ma le piste sono tante ...
Mi interessava in realtà chiudere lo zoom sul cosa sia un "autore", magari un artista, su quale sia la disciplina cui è - forse? - doveroso piegarsi, in nome del "ogni arte sottende una tecnica raffinatissima". Riecco quindi Jean:
"Non importa. Non penso che si progredisca copiando sé stessi e credo che a forza di battere sullo stesso chiodo, quello si appiattisca. Un'opera vale solo se si integra in un'opera. È l'insieme che conta e la ripetizione di uno stile provocherebbe quella noia che rispettiamo e che i lettori prendono per fedeltà a sé stessi quando invece è il risultato della pigrizia.
In verità i personaggi che popolano la nostra opera sono meno importanti della sua architettura. Dare importanza all'aneddoto è come giudicare un pittore sulla base dei suoi modelli invece che scoprirne l'autoritratto nel modo che ha di dipingerli. Essere antimilitarista non impedisce di ammirare lo Zuavo di Van Gogh, e sarebbe un grave insulto apprezzare una tela astratta col pretesto che le sue macchie ed i suoi colori vanno bene con l'arredo della stanza in cui dovrà essere appesa."
Mi pare feroce, molto esigente, ma spiega pure per quale ragione i banchi delle librerie siano pieni di n'importe quoi, ben distribuito e abbigliato, prefato, postfato, promozionato, recensito: tanta aria fritta, che non è che disturbi poi troppo se ci ricordiamo che fritto è buono tutto (...!); magari tutto il fritto potrebbe tentare di aggiudicarsi un nome da celebrare in vita piuttosto che postumo, e in tale speranza alla maratona partecipano tutti, tanto che rischio c'è?
E invece il rischio c'è, ed è l'inflazione di offerta, che è un male perfido come l'assenza di domanda.
Con questo cappelletto di Goethe, Jean Cocteau stila il suo Cordone ombelicale, un piccolo saggio, tanto sottilmente autocelebrativo quanto autoflagellante (è un malanno tipico dei consapevoli, no?), su cosa sia l'arte, chi la fa, la scrive, in qualche modo la sputa fuori.
Ce n'è per tutti i gusti, ma mi piace riportare alcuni passaggi perché dotati di grande adattabilità a tanti eventi, e poi non ultimo all'annoso discorso del come si scriva, intimamente legato al perché.
Si parte intanto con le Muse e l'Autostop:
"... Mi è indispensabile svelare di aver scoperto che le muse, lungi dall'essere fate buone, sono mantidi religiose che divorano il maschio durante l'atto d'amore, e che la poesia piuttosto che una fascinazione è un sacerdozio, un monastero dove ci si deve chiudere a qualsiasi costo, dopo aver abbandonato il palco della distribuzione dei premi.
A dire il vero, importa evitare quel palco ove trionfa l'attualità, e lavorare sotto, nell'ombra del "chi perde vince", che si oppone alle fiamme del "chi vince perde" - metodo sfavorevole in un'epoca di fretta e d'immediatezza che ha dimenticato che le muse pazienti tendono la trappola dell'autostoppismo a coloro che non si rassegnano a proseguire a piedi la via dolorosa. I poeti devono vivere al di sopra dei mezzi della loro epoca, e la gloria accorderà i suoi a quelli che agonizzano tutta la vita ed anche dopo la morte."
Questa è per gli invidiosi a oltranza:
"È lunga la lista di coloro che sono spinti al razzismo dal malessere di non appartenere alla razza maledetta e che anche a costo di ricorrere al tavolino che ruota, si sforzano di penetrare gli arcani."
E qui si entra in tema:
"Insomma, più mi sforzo di penetrare nel mondo tenebroso in cui l'espirazione sostituisce l'ispirazione che dovrebbe arrivarci da qualche cielo, meno riesco a sciogliere la matassa di un filo che rischia ogni istante di rompersi e di lasciarci alle prese con i percorsi tortuosi del labirinto in cui ci conducono insieme la paura del Minotauro e la curiosità della percezione.
Perché non appena un'opera è scritta, essa è già postuma.
Sarei incapace di farne una copia e mi chiedo sempre cosa mi abbia reso capace di esserne l'autore. E penso che questa diversità dei miei cimenti non provenga solo dall'aiuto misterioso che mi dirige ma anche da Picasso, il cui esempio ci insegna, come dicono gli Orientali, a non "pestare mai due volte la coda della tigre". Non ignoro che il pubblico preferisca riconoscere piuttosto che conoscere e che il metodo che consiste nel non essere riconosciuti dalla forma del viso ma dallo sguardo, ci valga di essere ritenuti velleitari."
Ecco, questa storia del riconoscere in antitesi (o al meglio, premessa) al conoscere è una sintesi brillante della scelta del facile, TV versus libro, per esempio. E il facile rifiuta il nuovo, il diverso, l'estraneo, spesso relegandolo nella sfera dell'impossibile e archiviando colui che vi si cimenta con un bel cappellino appunto da velleitario. Mi vengono in mente alcuni atteggiamenti politici ... ma calza a pennello anche per il rifiuto storico, molto italiota, di relegare la scienza a pratica stregonesca ed in ogni caso non degna di sedere pariteticamente a fianco delle patrie lettere. Divago, mi scuso, ma le piste sono tante ...
Mi interessava in realtà chiudere lo zoom sul cosa sia un "autore", magari un artista, su quale sia la disciplina cui è - forse? - doveroso piegarsi, in nome del "ogni arte sottende una tecnica raffinatissima". Riecco quindi Jean:
"Non importa. Non penso che si progredisca copiando sé stessi e credo che a forza di battere sullo stesso chiodo, quello si appiattisca. Un'opera vale solo se si integra in un'opera. È l'insieme che conta e la ripetizione di uno stile provocherebbe quella noia che rispettiamo e che i lettori prendono per fedeltà a sé stessi quando invece è il risultato della pigrizia.
In verità i personaggi che popolano la nostra opera sono meno importanti della sua architettura. Dare importanza all'aneddoto è come giudicare un pittore sulla base dei suoi modelli invece che scoprirne l'autoritratto nel modo che ha di dipingerli. Essere antimilitarista non impedisce di ammirare lo Zuavo di Van Gogh, e sarebbe un grave insulto apprezzare una tela astratta col pretesto che le sue macchie ed i suoi colori vanno bene con l'arredo della stanza in cui dovrà essere appesa."
Mi pare feroce, molto esigente, ma spiega pure per quale ragione i banchi delle librerie siano pieni di n'importe quoi, ben distribuito e abbigliato, prefato, postfato, promozionato, recensito: tanta aria fritta, che non è che disturbi poi troppo se ci ricordiamo che fritto è buono tutto (...!); magari tutto il fritto potrebbe tentare di aggiudicarsi un nome da celebrare in vita piuttosto che postumo, e in tale speranza alla maratona partecipano tutti, tanto che rischio c'è?
E invece il rischio c'è, ed è l'inflazione di offerta, che è un male perfido come l'assenza di domanda.
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