Visita - da "Il discorso del grande sonno", Jean Cocteau
Traduzione mia. Accorata. Privilegio. Pare che questa "Visita" non sia ancora stata tradotta in italiano. Attendo smentite.
"Ho una grande triste notizia da annunciarti: sono morto.
Posso parlarti stamattina perché sonnecchi e sei malato, hai la febbre.
Da noi la velocità è molto più importante che da voi. Non parlo della velocità che si sposta da un punto all'altro, ma della velocità che non si muove, della velocità in sé.
Un'elica è ancora visibile, gira; se ci metti la mano, taglia. Noi, noi non ci vedono, non ci sentono, ci possono attraversare senza farci male.
La nostra velocità è così forte da porci in un punto di silenzio e di monotonia.
Ti incontro perché non ho tutta la mia velocità e la febbre ti dà una velocità immobile, rara nei vivi. Ti parlo, ti tocco. È bello il rilievo!
Conservo ancora un ricordo del mio rilievo. Ero un'acqua che aveva la forma di una bottiglia e che giudicava tutto secondo quella forma.
Ognuno di noi è una bottiglia che imprime una forma diversa alla stessa acqua.
Adesso, tornato al lago, collaboro alla sua trasparenza. Io sono Noi. Voi siete Io. I vivi e i morti sono vicini e lontani gli uni dagli altri come testa e croce di una moneta, le quattro facce di un gioco di cubi. Uno stesso nastro di luoghi comuni dipana i nostri atti. Ma voi, un muro interrompe il raggio e vi libera.
Vi si vede muovervi nei vostri paesaggi. Il nostro raggio attraversa i muri. Nulla lo ferma. Noi viviamo dispiegati nel vuoto.
Passeggiavo tra le linee. Era appena mattino. Hanno dovuto accorgersi di me per disgrazia, un intervallo, una cattiva disposizione del paesaggio. Mi sono dovuto ritrovare allo scoperto, stupido come un pettirosso che continua a fare toeletta sul ramo mentre un ragazzino imbraccia la carabina.
Mi sistemavo la cravatta.
Mi dicevo che avrei dovuto rispondere a delle lettere.
Improvvisamente mi sono sentito solo al mondo, con una nausea che avevo già provato sulla giostra della fiera del Trono. L'asse delle curve ti decapita, ti lascia il corpo senz'anima, la testa rovesciata, e lontano, lontano [c'è] un gruppetto rimasto a terra, sullo sfondo di atroci specchi deformanti.
Non ero né in piedi né sdraiato né seduto, piuttosto sparso, ma capace di distinguere, altrove, contro i sacchi, il mio corpo, come un vestito smesso la sera prima. Tanto più che avevo spesso notato a Parigi, nella mia stanza, il primo mattino, l'aria un po' impallinata che aveva la camicia.
Avevo un'aria così, da vestito vecchio, da camicia per terra, da coniglio morto, senza averla poiché non ero io, come la stanza a cui si pensa e la stanza, la stessa, in cui ci si trova. Allora ho avuto coscienza di essere la stanza sbagliata e di aver oltrepassato per inavvertenza un limite intorno al quale i vivi, senza mollare la presa, sistemano i loro giochi pericolosi.
Avevo mollato la presa? Mi sentivo fuori dal giro, sbarcato insomma, e solo sopravvissuto al naufragio. Dov'erano gli altri? Ti parlo di tutto questo, ma al momento non potevo individuarli: né te, né me, né nessuno.
Una delle prime sorprese dell'avventura consiste nel sentirsi dispiegati. La vita non ci mostra che una piccola superficie di un foglio ripiegato moltissime volte su se stesso. Gli atti più fittizi, più capricciosi, più folli dei vivi si iscrivono su quella superficie malferma. Internamente, matematicamente, la simmetria si organizza. Solo la morte dispiega il foglio ed il suo scenario ci procura una bellezza e una noia mortali.
Constatare tutto ciò mi fa supporre fuori dal sistema. È dunque anormale che io constati. Non constaterò più tra qualche tempo. Questo tempo rappresenterà per voi un secondo o tanti secoli? Tra poco non capirò più quello che sono, non mi ricorderò più ciò che ero, non verrò più tra voi.
Ah, solitudine! Nuotatore annegato, già mi sciolgo! già sono spuma! Sai, mi è difficile trovare delle parole che corrispondano alle cose che provo. Nessuna potenza m'ha vietato questo tentativo di chiarire i misteri, ma mi sento un po' colpevole, perché sono già l'organizzazione che denuncio. E rido da solo - come gli affiliati che si vedono traditi da un novizio male informato dei loro segreti - per quanto mi è difficile spiegare la mia penombra.
Ma del resto quello che ti racconto non è il semplice riflesso di ciò che pensi? Non lo dico per costruirti intorno una trappola di ghiaccio. Mi esprimo ancora troppo umanamente per non diffidare di me stesso.
Ciò che ti sorprende è che io parli come i tuoi libri, che io sappia così bene cosa contengono. Ero di quelli che dubitavano. Tu non mi rimproveravi. Tu non mi spiegavi. Tu mi trattavi come un bambino, come una donna. Ero ingenuamente il tuo nemico.
Ti chiedo scusa. È per chiederti scusa che ho fatto lo sforzo strano di apparirti.
La poesia somiglia alla morte. Conosco il suo occhio blu. Dà la nausea. Una nausea di architetto che sta sempre a stuzzicare il vuoto, ecco lo specifico del poeta. Il vero poeta è, come noi, invisibile ai vivi. Solo questo privilegio lo distingue dagli altri. Che non sognasse: egli conta. Ma avanza sulle sabbie mobili e talvolta la sua gamba sprofonda fino a noi.
Adesso elenco i tuoi meccanismi. Capisco il tuo pudore che confondevo con la mia notte.
In pubblico ho preso spesso per abbozzi le tue pagine discrete come i blocchi di quarzo dove l'acqua solida pensa una forma di cui appare solo un angolo.
E le tue galaverne, le tue decalcomanie, questa parola dell'enigma scritta con l'inchiostro su un foglio piegato velocemente a metà, che tu apri e che non contiene altro ormai che un catafalco.
E dimmi, quando i naufraghi della Città di Saint-Nazaire raccontano di aver visto tutti, di notte in mare aperto, un casinò con dei gradini, dei lampioni e dei cespugli di oleandri; il mare, la bruma e la fame non fecero opera da poeta? Ecco ciò che non deriva da quell'allucinazione individuale che ti rimproverano tanti ciechi. Questa gente con feluca era unita dalla sofferenza.
Non soffrivo prima di morire. Adesso la mia sofferenza è quella di un uomo che sogna di soffrire. Questo sogno generalmente è provocato da qualche dolore.
Tutto questo, tutto questo è simile alla manovra di cui sono appena stato vittima. Si direbbe che sia un vecchio morto a parlarti. È talmente presto che non mi hanno ancora trovato per darmi il cambio. Sono anche vicino a mia madre. Ti vedo nel tuo letto e mi vedo nella posa di un uomo miope che cerca il suo occhialetto sotto al mobile. Comincio a dissolvermi. Perché tu capisca, bisognerebbe moltiplicare all'infinito la menzogna di una pallina che si fa scorrere con la punta delle dita incrociate una sull'altra.
Vorrei che mi dicessero da quanto tempo sono morto."
"Ho una grande triste notizia da annunciarti: sono morto.
Posso parlarti stamattina perché sonnecchi e sei malato, hai la febbre.
Da noi la velocità è molto più importante che da voi. Non parlo della velocità che si sposta da un punto all'altro, ma della velocità che non si muove, della velocità in sé.
Un'elica è ancora visibile, gira; se ci metti la mano, taglia. Noi, noi non ci vedono, non ci sentono, ci possono attraversare senza farci male.
La nostra velocità è così forte da porci in un punto di silenzio e di monotonia.
Ti incontro perché non ho tutta la mia velocità e la febbre ti dà una velocità immobile, rara nei vivi. Ti parlo, ti tocco. È bello il rilievo!
Conservo ancora un ricordo del mio rilievo. Ero un'acqua che aveva la forma di una bottiglia e che giudicava tutto secondo quella forma.
Ognuno di noi è una bottiglia che imprime una forma diversa alla stessa acqua.
Adesso, tornato al lago, collaboro alla sua trasparenza. Io sono Noi. Voi siete Io. I vivi e i morti sono vicini e lontani gli uni dagli altri come testa e croce di una moneta, le quattro facce di un gioco di cubi. Uno stesso nastro di luoghi comuni dipana i nostri atti. Ma voi, un muro interrompe il raggio e vi libera.
Vi si vede muovervi nei vostri paesaggi. Il nostro raggio attraversa i muri. Nulla lo ferma. Noi viviamo dispiegati nel vuoto.
Passeggiavo tra le linee. Era appena mattino. Hanno dovuto accorgersi di me per disgrazia, un intervallo, una cattiva disposizione del paesaggio. Mi sono dovuto ritrovare allo scoperto, stupido come un pettirosso che continua a fare toeletta sul ramo mentre un ragazzino imbraccia la carabina.
Mi sistemavo la cravatta.
Mi dicevo che avrei dovuto rispondere a delle lettere.
Improvvisamente mi sono sentito solo al mondo, con una nausea che avevo già provato sulla giostra della fiera del Trono. L'asse delle curve ti decapita, ti lascia il corpo senz'anima, la testa rovesciata, e lontano, lontano [c'è] un gruppetto rimasto a terra, sullo sfondo di atroci specchi deformanti.
Non ero né in piedi né sdraiato né seduto, piuttosto sparso, ma capace di distinguere, altrove, contro i sacchi, il mio corpo, come un vestito smesso la sera prima. Tanto più che avevo spesso notato a Parigi, nella mia stanza, il primo mattino, l'aria un po' impallinata che aveva la camicia.
Avevo un'aria così, da vestito vecchio, da camicia per terra, da coniglio morto, senza averla poiché non ero io, come la stanza a cui si pensa e la stanza, la stessa, in cui ci si trova. Allora ho avuto coscienza di essere la stanza sbagliata e di aver oltrepassato per inavvertenza un limite intorno al quale i vivi, senza mollare la presa, sistemano i loro giochi pericolosi.
Avevo mollato la presa? Mi sentivo fuori dal giro, sbarcato insomma, e solo sopravvissuto al naufragio. Dov'erano gli altri? Ti parlo di tutto questo, ma al momento non potevo individuarli: né te, né me, né nessuno.
Una delle prime sorprese dell'avventura consiste nel sentirsi dispiegati. La vita non ci mostra che una piccola superficie di un foglio ripiegato moltissime volte su se stesso. Gli atti più fittizi, più capricciosi, più folli dei vivi si iscrivono su quella superficie malferma. Internamente, matematicamente, la simmetria si organizza. Solo la morte dispiega il foglio ed il suo scenario ci procura una bellezza e una noia mortali.
Constatare tutto ciò mi fa supporre fuori dal sistema. È dunque anormale che io constati. Non constaterò più tra qualche tempo. Questo tempo rappresenterà per voi un secondo o tanti secoli? Tra poco non capirò più quello che sono, non mi ricorderò più ciò che ero, non verrò più tra voi.
Ah, solitudine! Nuotatore annegato, già mi sciolgo! già sono spuma! Sai, mi è difficile trovare delle parole che corrispondano alle cose che provo. Nessuna potenza m'ha vietato questo tentativo di chiarire i misteri, ma mi sento un po' colpevole, perché sono già l'organizzazione che denuncio. E rido da solo - come gli affiliati che si vedono traditi da un novizio male informato dei loro segreti - per quanto mi è difficile spiegare la mia penombra.
Ma del resto quello che ti racconto non è il semplice riflesso di ciò che pensi? Non lo dico per costruirti intorno una trappola di ghiaccio. Mi esprimo ancora troppo umanamente per non diffidare di me stesso.
Ciò che ti sorprende è che io parli come i tuoi libri, che io sappia così bene cosa contengono. Ero di quelli che dubitavano. Tu non mi rimproveravi. Tu non mi spiegavi. Tu mi trattavi come un bambino, come una donna. Ero ingenuamente il tuo nemico.
Ti chiedo scusa. È per chiederti scusa che ho fatto lo sforzo strano di apparirti.
La poesia somiglia alla morte. Conosco il suo occhio blu. Dà la nausea. Una nausea di architetto che sta sempre a stuzzicare il vuoto, ecco lo specifico del poeta. Il vero poeta è, come noi, invisibile ai vivi. Solo questo privilegio lo distingue dagli altri. Che non sognasse: egli conta. Ma avanza sulle sabbie mobili e talvolta la sua gamba sprofonda fino a noi.
Adesso elenco i tuoi meccanismi. Capisco il tuo pudore che confondevo con la mia notte.
In pubblico ho preso spesso per abbozzi le tue pagine discrete come i blocchi di quarzo dove l'acqua solida pensa una forma di cui appare solo un angolo.
E le tue galaverne, le tue decalcomanie, questa parola dell'enigma scritta con l'inchiostro su un foglio piegato velocemente a metà, che tu apri e che non contiene altro ormai che un catafalco.
E dimmi, quando i naufraghi della Città di Saint-Nazaire raccontano di aver visto tutti, di notte in mare aperto, un casinò con dei gradini, dei lampioni e dei cespugli di oleandri; il mare, la bruma e la fame non fecero opera da poeta? Ecco ciò che non deriva da quell'allucinazione individuale che ti rimproverano tanti ciechi. Questa gente con feluca era unita dalla sofferenza.
Non soffrivo prima di morire. Adesso la mia sofferenza è quella di un uomo che sogna di soffrire. Questo sogno generalmente è provocato da qualche dolore.
Tutto questo, tutto questo è simile alla manovra di cui sono appena stato vittima. Si direbbe che sia un vecchio morto a parlarti. È talmente presto che non mi hanno ancora trovato per darmi il cambio. Sono anche vicino a mia madre. Ti vedo nel tuo letto e mi vedo nella posa di un uomo miope che cerca il suo occhialetto sotto al mobile. Comincio a dissolvermi. Perché tu capisca, bisognerebbe moltiplicare all'infinito la menzogna di una pallina che si fa scorrere con la punta delle dita incrociate una sull'altra.
Vorrei che mi dicessero da quanto tempo sono morto."
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