Considerazioni sull'attualità
Non scrivo spesso sul mio blog perché l'attualità è poco interessante. Salvo stimoli sporadici che cadono su qualche nervo scoperto, che peraltro rimarrà scoperto finché esisto, permane in me la consapevolezza di vivere in un periodo che non lascerà alcuna traccia significativa; che gli accadimenti marcanti per la mia generazione e quelle limitrofe si collocano in una scia lunga, che non è un male di per sé; non intendo negare la Storia nel suo fluire! quanto piuttosto farmi estranea al senso di impotenza che ghiaccia svariate generazioni, tra le quali la mia, per il prossimo e lungo futuro.
La battaglia di una mosca chiusa in una scatola è piuttosto insulsa se nella scatola non c'è neanche una speranzosa crepa; resta altro di buono da fare, per esempio osservare, ammirare, analizzare.
Non è comunque un piccolo lascito che ci è stato fatto e che faremo, ma non ha bisogno di quotidianità.
In questo tempo lungo in cui ci si impegna a capire tutto, a dire tutto, a mostrare tutto e a comunicarlo il risultato più lampante è un brusio forsennato da girone infernale. Privi di accesso ai meccanismi più alti, ci si impegna giustamente a tentare di comprendere quelli del nostro proprio microcosmo, il noi stessi, tentando di bastarci e per la verità un po' - per poco - funziona.
La socializzazione è diventata anch'essa una tecnica, la condivisione un metodo, l'empatia un valore da aggiungere e a me tutte queste cose hanno cominciato a rompere il cazzo in modo così viscerale da farmi sentire talvolta renitente all'educazione (quella sociale, ossia questa con questi crismi).
I fiumi di ragionevolezza, oppure chiamiamola governabilità dell'io, sono antievolutivi e quindi antiumani, potendo in quanto tali fluire solo in base a schemi veri qui e oggi, in barba a qualsiasi trasformazione biologica che è storicamente imprevedibile ed ingovernabile. L'ossimoro scientifico! Perché se la scienza ha bisogno di ripetitività e riproducibilità, le "scienze" sociali ed umane ne offrono ben poca, i fattori in gioco sono estremamente mutevoli e sostanzialmente non reiterabili in periodi successivi.
Niente di che, niente di male, ma che noia, che noia, che noia.
È decisamente più confortevole e confortante scovare idee e sapienze, invocare la mediazione dei dotti, decifrare l'animo eloquente degli artisti. Sono compagnie imperdibili.
C'è bisogno di silenzio per raccogliere le idee e spegnere i riflettori sulle minuzie, declinare l'invito al protagonismo e all'autocelebrazione. Attenuando l'ego c'è qualche probabilità in più di ritrovarsi negli altri e con gli altri.
La fratellanza non è un dato biologico ma il frutto di una scelta individuale, e questo è l'elemento della triade rivoluzionaria che non può essere codificato. Come valore sociale è puramente illusorio e rischia, come vediamo limpidamente oggi, di minare anche gli altri due che sono sani progetti politici di convivenza. Neanche è possibile attualizzare la fratellanza con la solidarietà, perché quest'ultima può iscriversi anch'essa in un progetto politico che l'insieme di individui si dà.
E il problema sta nella fratellanza irrisolta, in quel doversi amare, piuttosto che nel doversi semplicemente riconoscere e rispettare. C'è tutta la confusione tra etica sociale e morale individuale, nella quale l'ultima sguazza e si riduce alla morale del più forte, che poi è la legge del più forte, in culo ai principi rivoluzionari.
Parliamone? Ancora? ah no, per parlare bisogna avere anzitutto un linguaggio comune, e già su quello potrei polemizzare senza ritegno, visto che mi riguarda pure da vicino professionalmente. Morte alla lingua, alla sua varietà, alle sue sfumature: sigle, slogan, parole importate "per facilità" (facilità? non ne sono certa), neologismi al servizio dell'incuria ... e poi l'arroganza del rumore della lingua, rumore di parole, rumore purché si sovrapponga a quello altrui.
Se dovessi creare un neologismo buono per questi anni, creerei il "troppismo", che con le "o" e le "p" dà bene il senso della bocca piena, così piena da impedire di assaporare il sapore del boccone.
Non ho proprio voglia di parlarne con chiunque, ma con qualcuno. Voglio sentire il rumore delle idee, l'emozione di chi ci crede, la passione di chi ci vive dentro. Qualcuno, appunto. Qualcuno che riesca a morire dalla sua vita dopo averla consumata tutta per usura meditata.
La battaglia di una mosca chiusa in una scatola è piuttosto insulsa se nella scatola non c'è neanche una speranzosa crepa; resta altro di buono da fare, per esempio osservare, ammirare, analizzare.
Non è comunque un piccolo lascito che ci è stato fatto e che faremo, ma non ha bisogno di quotidianità.
In questo tempo lungo in cui ci si impegna a capire tutto, a dire tutto, a mostrare tutto e a comunicarlo il risultato più lampante è un brusio forsennato da girone infernale. Privi di accesso ai meccanismi più alti, ci si impegna giustamente a tentare di comprendere quelli del nostro proprio microcosmo, il noi stessi, tentando di bastarci e per la verità un po' - per poco - funziona.
La socializzazione è diventata anch'essa una tecnica, la condivisione un metodo, l'empatia un valore da aggiungere e a me tutte queste cose hanno cominciato a rompere il cazzo in modo così viscerale da farmi sentire talvolta renitente all'educazione (quella sociale, ossia questa con questi crismi).
I fiumi di ragionevolezza, oppure chiamiamola governabilità dell'io, sono antievolutivi e quindi antiumani, potendo in quanto tali fluire solo in base a schemi veri qui e oggi, in barba a qualsiasi trasformazione biologica che è storicamente imprevedibile ed ingovernabile. L'ossimoro scientifico! Perché se la scienza ha bisogno di ripetitività e riproducibilità, le "scienze" sociali ed umane ne offrono ben poca, i fattori in gioco sono estremamente mutevoli e sostanzialmente non reiterabili in periodi successivi.
Niente di che, niente di male, ma che noia, che noia, che noia.
È decisamente più confortevole e confortante scovare idee e sapienze, invocare la mediazione dei dotti, decifrare l'animo eloquente degli artisti. Sono compagnie imperdibili.
C'è bisogno di silenzio per raccogliere le idee e spegnere i riflettori sulle minuzie, declinare l'invito al protagonismo e all'autocelebrazione. Attenuando l'ego c'è qualche probabilità in più di ritrovarsi negli altri e con gli altri.
La fratellanza non è un dato biologico ma il frutto di una scelta individuale, e questo è l'elemento della triade rivoluzionaria che non può essere codificato. Come valore sociale è puramente illusorio e rischia, come vediamo limpidamente oggi, di minare anche gli altri due che sono sani progetti politici di convivenza. Neanche è possibile attualizzare la fratellanza con la solidarietà, perché quest'ultima può iscriversi anch'essa in un progetto politico che l'insieme di individui si dà.
E il problema sta nella fratellanza irrisolta, in quel doversi amare, piuttosto che nel doversi semplicemente riconoscere e rispettare. C'è tutta la confusione tra etica sociale e morale individuale, nella quale l'ultima sguazza e si riduce alla morale del più forte, che poi è la legge del più forte, in culo ai principi rivoluzionari.
Parliamone? Ancora? ah no, per parlare bisogna avere anzitutto un linguaggio comune, e già su quello potrei polemizzare senza ritegno, visto che mi riguarda pure da vicino professionalmente. Morte alla lingua, alla sua varietà, alle sue sfumature: sigle, slogan, parole importate "per facilità" (facilità? non ne sono certa), neologismi al servizio dell'incuria ... e poi l'arroganza del rumore della lingua, rumore di parole, rumore purché si sovrapponga a quello altrui.
Se dovessi creare un neologismo buono per questi anni, creerei il "troppismo", che con le "o" e le "p" dà bene il senso della bocca piena, così piena da impedire di assaporare il sapore del boccone.
Non ho proprio voglia di parlarne con chiunque, ma con qualcuno. Voglio sentire il rumore delle idee, l'emozione di chi ci crede, la passione di chi ci vive dentro. Qualcuno, appunto. Qualcuno che riesca a morire dalla sua vita dopo averla consumata tutta per usura meditata.
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