Thriller
Ci eravamo ampiamente ignorati per molti anni, e lui aveva ragione perché io per lungo tempo ho vissuto i quadri come la TV: passivamente - riposantemente - confesso: egoisticamente. Mi dovevano arrivare addosso di peso, attorcigliarmi tutte le viscere, creare una turbolenza tale che poi mi dovevo per forza fermare e poi guardare, scrutare. Ci siamo incontrati in libreria, lui mi voltava la schiena (una delle sue magie ...), e questo suo disinteresse, questa totale mancanza di piacioneria, del vile strumento comunicativo, mi hanno quasi stizzito; ho deciso di approvvigionarmi di un Magritte by Taschen.
A pagina 6 c'è "L'Empire des Lumières". È cominciato tutto da lì, da questo quadro che al primo sguardo non ha nulla che acchiappa, eppure nascondeva un particolare, come nei gialli di Dario Argento. Ci tornavo sopra, e non sapevo perché. Credo di averlo guardato almeno dieci volte prima di scoprire il giorno e la notte, contemporaneamente. E le luci e le ombre e le scintille sull'acqua e la banalità apparente della casa. La casa è solida e rassicurante, senza sbavature, tutto è estremamente composto per lasciare tutto lo spazio alla dissonanza dell'impossibile.
Non c'è niente di impossibile in un presentazione che non è mai rappresentazione della realtà, per definizione.
Su "Ceci n'est pas une pipe" Foucault ha scritto un breve saggio di semiotica, ma pur amando molto Foucault, ho trovato che la sua razionalizzazione togliesse troppi veli; un lavoro che Magritte penso volesse lasciare al percorso di ciascun osservatore.
In Magritte è forte l'effetto thriller, in questo senso è spettacolare e cinematografico. Ogni particolare è un bandolo della matassa che bisogna seguire come se si indagasse su un fatto di cronaca: perché poi tale è.
Nessun ammiccamento, nessuna seduzione immediata, Magritte non ti vende nulla, ti volta le spalle perché tu possa osservare non solo con gli occhi, e poi seguirlo.
E comincia un lungo discorso sui nostri sensi che non bastano a sé stessi, che devono essere pensati. Lui non dà risposte, ti mette davanti solo quesiti.
Il rapporto con il bello, secondo il canone estetico, è rimandato all'assurdo che qualsiasi plasticità può celare. Ed è rimandato con un'evidenza implacabile alla sua totale soggettività.
Il piacere di conoscere Magritte significa imparare il piacere di conoscersi, anche dove non c'è altro che la consapevolezza.
Questo "Le Mal du pays", particolarmente disturbante, è stato un enigma di difficile soluzione.
"Un leone ed un uomo con le ali ripiegate non hanno niente da fare su questo ponte. Malinconia di coloro che sanno che la vita vera è sempre un altrove che non esiste", spiega Marcel Paquet.
I titoli dei quadri di Magritte sono la chiave esemplare di lettura e di intendimento della sua rappresentazione pittorica. Da essi comincia quella distanza che esiste tra la parola ed il suo significato rapportato al reale, ma sono anche un prezioso ausilio per la soluzione degli enigmi e la chiarificazione del surreale.
Un esempio per tutti è "La condition humaine":
di cui Foucault dice addirittura: "mescolare perfidamente ... un quadro e ciò che deve rappresentare".
Solo e già a piè di lettera, è la storia di ciascuno di noi, di ciò che siamo e del ruolo sociale che ricopriamo, osservati da fuori, come noi osserviamo ora questa tela. Fatalmente, senza che ci sia una rappresentazione umana, sono qui riprodotti tutti, osservatore ed osservato, in un gioco di ruolo la cui circolarità è palese.
Ieri protagonista del dubbio e del disincanto, oggi maestro del pensiero e delle trappole della comunicazione; la costruzione di un linguaggio comune e non deviante, la ricerca del senso e non degli effetti speciali, nell'immagine e nella parola, sono le premesse ineludibili per uscire dal pantano della comunicazione mediatica e dell'oblio della natura umana.
A pagina 6 c'è "L'Empire des Lumières". È cominciato tutto da lì, da questo quadro che al primo sguardo non ha nulla che acchiappa, eppure nascondeva un particolare, come nei gialli di Dario Argento. Ci tornavo sopra, e non sapevo perché. Credo di averlo guardato almeno dieci volte prima di scoprire il giorno e la notte, contemporaneamente. E le luci e le ombre e le scintille sull'acqua e la banalità apparente della casa. La casa è solida e rassicurante, senza sbavature, tutto è estremamente composto per lasciare tutto lo spazio alla dissonanza dell'impossibile.
Non c'è niente di impossibile in un presentazione che non è mai rappresentazione della realtà, per definizione.
Su "Ceci n'est pas une pipe" Foucault ha scritto un breve saggio di semiotica, ma pur amando molto Foucault, ho trovato che la sua razionalizzazione togliesse troppi veli; un lavoro che Magritte penso volesse lasciare al percorso di ciascun osservatore.
In Magritte è forte l'effetto thriller, in questo senso è spettacolare e cinematografico. Ogni particolare è un bandolo della matassa che bisogna seguire come se si indagasse su un fatto di cronaca: perché poi tale è.
Nessun ammiccamento, nessuna seduzione immediata, Magritte non ti vende nulla, ti volta le spalle perché tu possa osservare non solo con gli occhi, e poi seguirlo.
E comincia un lungo discorso sui nostri sensi che non bastano a sé stessi, che devono essere pensati. Lui non dà risposte, ti mette davanti solo quesiti.
Il rapporto con il bello, secondo il canone estetico, è rimandato all'assurdo che qualsiasi plasticità può celare. Ed è rimandato con un'evidenza implacabile alla sua totale soggettività.
Il piacere di conoscere Magritte significa imparare il piacere di conoscersi, anche dove non c'è altro che la consapevolezza.
Questo "Le Mal du pays", particolarmente disturbante, è stato un enigma di difficile soluzione.
"Un leone ed un uomo con le ali ripiegate non hanno niente da fare su questo ponte. Malinconia di coloro che sanno che la vita vera è sempre un altrove che non esiste", spiega Marcel Paquet.
I titoli dei quadri di Magritte sono la chiave esemplare di lettura e di intendimento della sua rappresentazione pittorica. Da essi comincia quella distanza che esiste tra la parola ed il suo significato rapportato al reale, ma sono anche un prezioso ausilio per la soluzione degli enigmi e la chiarificazione del surreale.
Un esempio per tutti è "La condition humaine":
di cui Foucault dice addirittura: "mescolare perfidamente ... un quadro e ciò che deve rappresentare".
Solo e già a piè di lettera, è la storia di ciascuno di noi, di ciò che siamo e del ruolo sociale che ricopriamo, osservati da fuori, come noi osserviamo ora questa tela. Fatalmente, senza che ci sia una rappresentazione umana, sono qui riprodotti tutti, osservatore ed osservato, in un gioco di ruolo la cui circolarità è palese.
Ieri protagonista del dubbio e del disincanto, oggi maestro del pensiero e delle trappole della comunicazione; la costruzione di un linguaggio comune e non deviante, la ricerca del senso e non degli effetti speciali, nell'immagine e nella parola, sono le premesse ineludibili per uscire dal pantano della comunicazione mediatica e dell'oblio della natura umana.
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