3.9.07

Mimesi nordafricana

La chicha non la fumo, gli ksur non l'ho visti (manco stavolta), il cimitero bianco a picco sul mare di Mahdia, no, il suk neanche, la medina di Sousse o di Kerouan, niente, minareti, suppellettili o patacche, zero.
Ho visto strade fiancheggiate da ulivi, sassi, mezze costruzioni mezze diroccate, mezze bianche e abbaglianti, stagni, pochi animali in giro, pochissimi, neanche zanzare, non piccioni, non gatti e non cani giramondo, perché qui il mondo non lo gira nessuno, uomini, solo uomini, al bar, donne velate e svelate alla luce, il pane, i taxi che passano sempre come a New York e nei film, ho sentito moltissime storie, tutte semplici, tutte uguali, 14 ore di lavoro al giorno per 180 euro al mese e poi ho sentito questa frase "vivo aspettando di morire".
È un paese libero dal quale, per uscirne, servono 5000 euro sul conto, il che significa che devi anche avere un conto.
La costa del Sael è percorsa da una metropolitana! I datteri, prodotti ed esportati massivamente, sono dolci e deliziosi, come le persone che abitano questo paese. I pomodori sanno di pomodoro, sono turgidi, rossi, polposi, quando li tagli non deliquano in acqua rosata. I dolci sono troppo dolci. L'aria condizionata c'è solo per i turisti, così come l'erba spessa e verde e la moltitudine di fiori. Gli alberi invece ci sono per tutti, e incontrastati regnano ulivi e palme.

Un posto mezzo povero e mezzo no, non va in cronaca perché non è estremo in nulla: non geograficamente, non politicamente, non etnicamente e neanche religiosamente.
Secondo mondo: né primo né terzo, solo secondo. Ma nel secondo ci stanno appannati agi e disagi degli altri due.