Mon amour
Un traduttore è un ricopiatore d'immagini, un ladro di emozioni, uno stupratore di parole.
È perdonabile solo se furteggia per amore, con amore, per dolore, con dolore.
I libri ci saltano in mano o ci vengono bisbigliati come una brezzolina: ci vuole la mano lesta, l'udito scaltro.
Yves Charnet si è presentato con la vocina affettata di un giovanotto, in uno scantinato impossibile da sonorizzare, attraverso l'ultima pagina di questo libro dichiaratamente autobiografico che è "Mon amour".
L'ho letto al contrario, ed è così che ne riporto gli ultimi tre capitoli.
"Tra poco avrò quarant'anni. Sono un cattivo marito. Un poeta minore. Appena, per i figli, un padre. Il genere di persona che si dovrebbe mettere in quarantena. I miei difetti continueranno a fare i letti in cui andrò a dormire[i]. Non (ci) si cambia. Vorrei rivivere con te. Oggi. Stiamo per ritrovarci, ora. Amore mio.
Le parole semplici non sono semplici da pronunciare.
Il presente della presenza sei tu. È raro. Difficile. Andare in questa direzione, nonostante tutto.
Non sono dotato. Tu mi aiuterai. Anche se nessuno merita di essere aiutato. Né degno di fede. Neanch'io.
Ti scrivo perché, dopo questo libro, chiamarti amore mio è ridiventato possibile.
Dalla finestra del lucernario i temporali hanno messo un fazzoletto sul nostro orizzonte corresiano. Non si vede arrivare la fine dell'estate.
Non ho il coraggio di chiudere le valigie. Il mio treno per Toulouse parte tra poco. Non so quando leggerai tutto questo.
Ti scrivo nel mio libro. Di nascosto. Come sempre. In segreto. Piango, ma scrivo lo stesso. È la mia preghiera per non perderti.
Solo l'amore è degno di fede. Amore mio."
* * *
"Non si può divorziare. Questa frase mi è venuta così, guardando Marie-Pierre arrivare alla terrazza del Buffet de la Gare dove, di ritorno dalla corrida, l'aspettavo.
Era l'estate scorsa, a Montpellier. Questa frase mi aveva attraversato il cervello come una saetta.
Le parole ne sanno più di noi. Questa stessa frase mi torna in mente stasera. Cerco di riassumere. Il mio libro, la mia vita.
Persi nelle parole si comincia a dire la verità. Alcune formule sfuggono. Accecante evidenza. Prendo nota di queste cose alla Combotte. Le stelle stridono come i grilli. Sono fuori. Il quaderno poggiato su un tavolo di plastica bianca. La lampadina sopra alla grande porta macchia la pagina con una luce giallastra. Le falene non hanno paura della mia mano. Fuori ed io siamo ormai un'unica cosa. Oscura connivenza.
Non ci sono da un lato i volti e dall'altro il paesaggio. La casa di famiglia tiene insieme le persone e l'orizzonte. Ci pensavo guardando Marie-Pierre leggere stamattina, seduta sul muricciolo col suo abito verde che sta così bene sulle sue gambe. Sua sorella le stava accanto. Una somiglianza riuniva i loro profili.
I bambini inventavano storie con delle vecchie biciclette. Le nonne ripetevano gli indaffaramenti stanchi di ogni fine estate. Il gatto dormiva alla frontiera dell'ombra e del blu. C'era una tenerezza da far piangere nel verde di ogni filo d'erba. Un po' di muschio si arrostiva tra le pietre del muricciolo.
Divorzieremo in un'altra vita, in un altro luogo. Non c'è fretta. Vorrei trascorrere ancora del tempo nel nostro tempo. Lasciare il mio desiderio toccare ancora con gli occhi quella pelle morbida che esce dal vestito verde seduto sul muricciolo. Marie-Pierre ha poggiato il suo libro tra le sue cosce nude. La mia donna non si accorge che la sto osservando.
L'infimo è una figura dell'infinito. C'è del minuscolo nell'aria. Un'aria di nulla che fa la differenza. Un'aria di te che è la mia preferenza. Questa mattina. Questa sera. Nella mia vita tutta sottosopra.
La mia vita che si è rotta la testa sulla nostra coppia.
Non si divorzia con tutto in un amore. Rimane del verde, del blu, della pelle morbida. Del desiderio a cielo aperto. Questa sera. Questa mattina. Brevi intensità.
Il mondo ritrova una forza fantastica. Come nell'infanzia.
Il suo splendore fa rifiorire il mio sguardo. Strane tregue e dolce guerra. Ho vissuto con te vent'anni senza diventare adulto. Al nostro amore rimane solo la pelle sulle parole."
* * *
"Già fine agosto. Nella sala da gioco le carte giocano la loro partita. Punteggiate da alcune intonazioni. Commenti appassionati. Tre generazioni attraversano i cuori. Gli altri, sono solo voci. Dei volti di cui non si scoprirà mai l'enigma. Tra poco saranno vent'anni che vengo, d'estate, in questa casa di famiglia. È (e non è) la mia. La Combotte. Tra poco saranno vent'anni che ti amo. Anche se non so ancora cosa voglia dire. Né come si fa. Ad amare per vent'anni una donna. Non abbiamo più vent'anni, amore mio. La nostra giovinezza perduta non mi rattrista. Non esiterei a sparare una colpo tra i loro due occhi, se i miei vent'anni mi venissero di nuovo di fronte. Alla fine di questa cavalcata col cuore in tumulto, poso tutto. Tengo solo tre: una donna e due bambini. Non porto più il fantasma di mio padre sulle spalle. Agathe e Augustin muovono i loro primi passi nel tempo nuovo. Di fronte a loro quali draghi? Quali chimere? Il fallimento non l'ha avuta vinta su tutta la linea. Ho resistito come ho potuto. Senza di te sarei morto. Più volte. In questo libro ho voluto ucciderti. Distruggermi attraverso di te. Farla finita con l'amore. E la fede giurata. Tutto il tremito. Tre anni. Per scrivere una lettera a mia moglie. Una lettera d'amore. Per parlarti del gusto della nostra coppia. Dei suoi colori. Del suo rumore. Vent'anni dopo il nostro primo incontro. Qui. In questa casa di famiglia. Il disgusto ci si è accomodato. La mia melanconia non ci va con mano leggera. Il mio cuore calza grossi zoccoli.
Sono tutti a letto. Tra poco mezzanotte. L'ora della scrittura. Il suo appuntamento notturno. La sua mania del segreto.
Diderot, dopo la sua giornata da enciclopedico, scriveva a Sophie Volland: "Ovunque non ci sarà nulla leggete che vi amo." Non c'è granché in questo libro. Spero che avrai la carità di leggere bene tra le righe.
L'una del mattino. Ho bevuto. Abbastanza per avere diritto di scrivere un po' quello che penso. Sempre meno. Ho scritto questo libro perché la nostra storia finisca di somigliare a quelle cose che non somigliano a nulla. La nostra esistenza ha gli occhi che bruciano. Ho scritto per risvegliarci dall'amore menzognero. Senza questa energia tra le righe, questo movimento delle mie parole trascinate, non avrei ritrovato l'uscita. Un libro è un atto. Una traversata. Non conosco altri modi per smuovere le cose. Per condividere la mia rabbia. Con te? Mi piacerebbe così tanto che tu ne pensassi bene. Tu che rileggi, d'estate, i filosofi. Dimentico spesso che vivo con una donna più intelligente di me. La mia anima ha la pelle d'oca. Vorrei ricominciare da zero."
È perdonabile solo se furteggia per amore, con amore, per dolore, con dolore.
I libri ci saltano in mano o ci vengono bisbigliati come una brezzolina: ci vuole la mano lesta, l'udito scaltro.
Yves Charnet si è presentato con la vocina affettata di un giovanotto, in uno scantinato impossibile da sonorizzare, attraverso l'ultima pagina di questo libro dichiaratamente autobiografico che è "Mon amour".
L'ho letto al contrario, ed è così che ne riporto gli ultimi tre capitoli.
"Tra poco avrò quarant'anni. Sono un cattivo marito. Un poeta minore. Appena, per i figli, un padre. Il genere di persona che si dovrebbe mettere in quarantena. I miei difetti continueranno a fare i letti in cui andrò a dormire[i]. Non (ci) si cambia. Vorrei rivivere con te. Oggi. Stiamo per ritrovarci, ora. Amore mio.
Le parole semplici non sono semplici da pronunciare.
Il presente della presenza sei tu. È raro. Difficile. Andare in questa direzione, nonostante tutto.
Non sono dotato. Tu mi aiuterai. Anche se nessuno merita di essere aiutato. Né degno di fede. Neanch'io.
Ti scrivo perché, dopo questo libro, chiamarti amore mio è ridiventato possibile.
Dalla finestra del lucernario i temporali hanno messo un fazzoletto sul nostro orizzonte corresiano. Non si vede arrivare la fine dell'estate.
Non ho il coraggio di chiudere le valigie. Il mio treno per Toulouse parte tra poco. Non so quando leggerai tutto questo.
Ti scrivo nel mio libro. Di nascosto. Come sempre. In segreto. Piango, ma scrivo lo stesso. È la mia preghiera per non perderti.
Solo l'amore è degno di fede. Amore mio."
* * *
"Non si può divorziare. Questa frase mi è venuta così, guardando Marie-Pierre arrivare alla terrazza del Buffet de la Gare dove, di ritorno dalla corrida, l'aspettavo.
Era l'estate scorsa, a Montpellier. Questa frase mi aveva attraversato il cervello come una saetta.
Le parole ne sanno più di noi. Questa stessa frase mi torna in mente stasera. Cerco di riassumere. Il mio libro, la mia vita.
Persi nelle parole si comincia a dire la verità. Alcune formule sfuggono. Accecante evidenza. Prendo nota di queste cose alla Combotte. Le stelle stridono come i grilli. Sono fuori. Il quaderno poggiato su un tavolo di plastica bianca. La lampadina sopra alla grande porta macchia la pagina con una luce giallastra. Le falene non hanno paura della mia mano. Fuori ed io siamo ormai un'unica cosa. Oscura connivenza.
Non ci sono da un lato i volti e dall'altro il paesaggio. La casa di famiglia tiene insieme le persone e l'orizzonte. Ci pensavo guardando Marie-Pierre leggere stamattina, seduta sul muricciolo col suo abito verde che sta così bene sulle sue gambe. Sua sorella le stava accanto. Una somiglianza riuniva i loro profili.
I bambini inventavano storie con delle vecchie biciclette. Le nonne ripetevano gli indaffaramenti stanchi di ogni fine estate. Il gatto dormiva alla frontiera dell'ombra e del blu. C'era una tenerezza da far piangere nel verde di ogni filo d'erba. Un po' di muschio si arrostiva tra le pietre del muricciolo.
Divorzieremo in un'altra vita, in un altro luogo. Non c'è fretta. Vorrei trascorrere ancora del tempo nel nostro tempo. Lasciare il mio desiderio toccare ancora con gli occhi quella pelle morbida che esce dal vestito verde seduto sul muricciolo. Marie-Pierre ha poggiato il suo libro tra le sue cosce nude. La mia donna non si accorge che la sto osservando.
L'infimo è una figura dell'infinito. C'è del minuscolo nell'aria. Un'aria di nulla che fa la differenza. Un'aria di te che è la mia preferenza. Questa mattina. Questa sera. Nella mia vita tutta sottosopra.
La mia vita che si è rotta la testa sulla nostra coppia.
Non si divorzia con tutto in un amore. Rimane del verde, del blu, della pelle morbida. Del desiderio a cielo aperto. Questa sera. Questa mattina. Brevi intensità.
Il mondo ritrova una forza fantastica. Come nell'infanzia.
Il suo splendore fa rifiorire il mio sguardo. Strane tregue e dolce guerra. Ho vissuto con te vent'anni senza diventare adulto. Al nostro amore rimane solo la pelle sulle parole."
* * *
"Già fine agosto. Nella sala da gioco le carte giocano la loro partita. Punteggiate da alcune intonazioni. Commenti appassionati. Tre generazioni attraversano i cuori. Gli altri, sono solo voci. Dei volti di cui non si scoprirà mai l'enigma. Tra poco saranno vent'anni che vengo, d'estate, in questa casa di famiglia. È (e non è) la mia. La Combotte. Tra poco saranno vent'anni che ti amo. Anche se non so ancora cosa voglia dire. Né come si fa. Ad amare per vent'anni una donna. Non abbiamo più vent'anni, amore mio. La nostra giovinezza perduta non mi rattrista. Non esiterei a sparare una colpo tra i loro due occhi, se i miei vent'anni mi venissero di nuovo di fronte. Alla fine di questa cavalcata col cuore in tumulto, poso tutto. Tengo solo tre: una donna e due bambini. Non porto più il fantasma di mio padre sulle spalle. Agathe e Augustin muovono i loro primi passi nel tempo nuovo. Di fronte a loro quali draghi? Quali chimere? Il fallimento non l'ha avuta vinta su tutta la linea. Ho resistito come ho potuto. Senza di te sarei morto. Più volte. In questo libro ho voluto ucciderti. Distruggermi attraverso di te. Farla finita con l'amore. E la fede giurata. Tutto il tremito. Tre anni. Per scrivere una lettera a mia moglie. Una lettera d'amore. Per parlarti del gusto della nostra coppia. Dei suoi colori. Del suo rumore. Vent'anni dopo il nostro primo incontro. Qui. In questa casa di famiglia. Il disgusto ci si è accomodato. La mia melanconia non ci va con mano leggera. Il mio cuore calza grossi zoccoli.
Sono tutti a letto. Tra poco mezzanotte. L'ora della scrittura. Il suo appuntamento notturno. La sua mania del segreto.
Diderot, dopo la sua giornata da enciclopedico, scriveva a Sophie Volland: "Ovunque non ci sarà nulla leggete che vi amo." Non c'è granché in questo libro. Spero che avrai la carità di leggere bene tra le righe.
L'una del mattino. Ho bevuto. Abbastanza per avere diritto di scrivere un po' quello che penso. Sempre meno. Ho scritto questo libro perché la nostra storia finisca di somigliare a quelle cose che non somigliano a nulla. La nostra esistenza ha gli occhi che bruciano. Ho scritto per risvegliarci dall'amore menzognero. Senza questa energia tra le righe, questo movimento delle mie parole trascinate, non avrei ritrovato l'uscita. Un libro è un atto. Una traversata. Non conosco altri modi per smuovere le cose. Per condividere la mia rabbia. Con te? Mi piacerebbe così tanto che tu ne pensassi bene. Tu che rileggi, d'estate, i filosofi. Dimentico spesso che vivo con una donna più intelligente di me. La mia anima ha la pelle d'oca. Vorrei ricominciare da zero."
[i] Ho riportato fedelmente l'espressione francese perché di facile intuizione.
Yves Charnet, "Mon amour", edizioni La Table Ronde, traduzione mia.
1 Comments:
Allô ? Laetizia
C'est Frédéric Guéreau, ex-d'Axtrad qui vous écrit.
J'ai ceci à vous dire : il vaut mieux être écrivain (ultra)mineur, que bon traducteur !
Jai bien aimé Visite à Martigny.
Continuez !
FG
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