14.6.10

Libri da NON comprare

Considerazioni su dividi et impera

Nonostante cerchi di selezionare con estrema attenzione le mie letture, mi accade ovviamente di prendere delle toppe belle e buone, nonostante le premesse.
Le premesse erano lo stand del Centro di Documentazione Giornalistica al Salone del Libro di Torino.
Mi dico che poiché c'è sempre da imparare, poiché la mia ignoranza è e rimarrà incolmabile, poiché scrivere e ciarlare non garantiscono di saper scrivere e saper ciarlare, insomma dopo questo bagno di ovvie considerazioni cedo e compro non uno ma ben due libri:
"Il salvarticolo" di F. Nanni e R. Ferrazza, 3a ristampa (preoccupante), e
"Leggere per scrivere" di P. Pedaccini Floris e P. Cotroneo Trombetta, 2a edizione.

Da dove comincio? Perché c'è poco da dire se non che sono testi, ambedue, come minimo preoccupanti, e per dirla com'è, drammatici.

Preoccupanti intanto per via di chi li edita e ci mette il nome, perché se il Centro di Documentazione Giornalistica sceglie di pubblicare questa roba, la situazione è seria e grave.

"Il salvarticolo" è una grammatica sintetica che ricorda quando si usa il congiuntivo, come si fanno i plurali, l'ortografia e la punteggiatura; livello: 5a elementare. Devo desumere che avendo io fatto la 5a elementare più di quarant'anni fa, il livello è diventato questo? Ovvero, uno che fa il giornalista e che si suppone quindi abbia terminato degli studi superiori, l'università o anche il liceo, per non parlare di una scuola di giornalismo, non sa a quanto pare usare il congiuntivo e la differenza tra "da" e "dà". Non solo, ma non ha neanche un vocabolario della lingua italiana dove andarsi a togliere qualche (legittimo) dubbio, come il participio passato di soccombere.
Non ho altro da aggiungere, se non che questo libro dovrebbe interessare al massimo, ma proprio massimo massimo, gli studenti delle elementari. Per il resto, le conclusioni si traggono da sole.

"Leggere per scrivere" invece è un manuale di lettura attiva e scrittura creativa, come dice il sottotitolo. Si scopre che per saper scrivere è necessario leggere. Roba da non credere, e infatti sgraniamo gli occhi, avidi di tanta scienza.
Poi si scopre che per scrivere occorre metodo. Convengo che questo sia meno scontato, data la quantità di scriventi che ambiscono a diventare scrittori.
Da queste premesse il manuale fa il suo dovere dispiegando tecnica e tecniche, tra struttura e obiettivi, come il romanzo, il racconto o il testo giornalistico, passando per l'elencazione delle figure retoriche, tanto per sapere come si chiamano formule espressive che utilizziamo, spesso a nostra insaputa.
Da questi punti di vista, niente da dire, anche se dopo la lettura del manuale il nostro neo-scrittore decide quasi certamente di fare un altro mestiere (il che potrebbe essere l'obiettivo recondito degliautori del manuale) oppure di ... fregarsene.

In effetti, bisognerà pure scoraggiare almeno trenta milioni di italiani dall'ambizione, spesso sognatrice e mal riposta, di essere o diventare scrittori. Perché una cosa è certa: tutti scrivono, e direi per fortuna, perché scrivere fa bene anzitutto a chi lo fa.
Sul fatto di entrare nell'empireo degli scrittori però bisognerà pur dire che tecnica, competenza ed anche estro davvero non bastano e non sono neanche biglietti da visita. Gli scrittori vengono assunti nell'empireo per altre fatalità: scelte editoriali (quando va bene), rumore mediatico, errore od orrore, insomma l'importante è stupire e violentare il maggior numero di "lettori".
Si può obiettare che la qualità presto o tardi venga fuori, ed io lo auspico e voglio perfino crederci, anche se permane la questione di come si possa valutare oggettivamente la qualità in questa materia, perché i fattori che entrano in gioco sono molteplici, almeno quanto i gusti personali dei recensori.

Ma il mio problema è un altro e riguarda proprio la volontà di dare un metodo, che si rifletterà per forza di cose nello stile e nella personalità dello scrivente. Paradossalmente, secondo me, nella scrittura creativa la creatività muore, privata della possibilità di fare e disfare anzitutto gli schemi strutturali e poi quelli interpretativi della realtà (o anche del sogno).
Ciò che è irrinunciabile e che costituisce la premessa non è il metodo ma la competenza linguistica, quello che abbiamo imparato a scuola (meri strumenti, ma indispensabili) e che possiamo perfezionare certamente leggendo e cimentandoci.
Il resto sta nella testa di ognuno, disposto o indisposto, organizzato o slabbrato, e solo alla fine lo stesso autore saprà dare un nome ed una definizione (ammesso che siano necessari) a ciò che ha elaborato.
Altrimenti è come dire al pittore come deve dipingere e poi magari anche cosa, quando all'artista basta sapere - ma può anche impararlo strada facendo - come si mischiano i colori e quali e quanti supporti esistano per la sua opera.
La creatività insomma nasce dal caos, non dall'ordine e dal metodo. E questo mi pare un segreto di Pulcinella.

Cosa ne sarebbe del surrealismo se i suoi artisti fossero stati accademicamente obbedienti e disciplinatamente metodici? Dove sarebbero Antonin Artaud, Breton e Tristan Tzara, ma anche Picasso e Van Gogh?
Ognuno sta nel tempo che gli è dato, mettendosi agiatamente nei suoi dogmi o fracassandoli sperimentando.

Noi viviamo il tempo della specializzazione, venduta come il passaporto per il successo e la competenza, ma di fatto metodo totalitario di antica memoria: dividi et impera. Parcellizzare il sapere, quand'anche spingendolo alla profondità estrema, non significa altro che stringere le menti in binari angusti, eliminando la possibilità di guardare l'orizzonte, di osservare dall'alto, di farsi contaminare dall'altro, qualsiasi altro sapere, o ignoranza o, in fin dei conti, problema. Elimina qualsiasi permeabilità, angustia l'intelligenza e rende schiavi del dio di turno, che guarda dall'alto e muove i fili, dichiarando di volta in volta di quale specialista ha bisogno.
E attenzione: perché chi non sa stare nei binari (o nei cliché) è automaticamente malato, dando luogo alla più pericolosa medicalizzazione di ogni diversità. Ma di questo parleremo meglio in apposito post.

1 Comments:

Anonymous Swann1208 said...

Ohh, finalmente leggo qualcosa di sensato circa le cosiddette scuole di "scrittura creativa". Ho sempre avuto la sensazione che fossero una grande bufala...possiamo leggere testimonianze di chi il successo l'ha raggiunto (pensavo a Stefhen King con On writing)ma non vuol dire che scrivendo come S.King il successo sia a portata di mano; possiamo addirittura apprezzare Baricco - grande affabulatore ma gracilino come narratore - ma non è che seguendo i corsi della scuola Holden si diventa come Salinger...Sono perfettamente d'accordo che non basta saper mischiare i colori per dipingere la Cappella Brancacci, tuttavia anche l'ABC serve. Da qualche parte bisogna pur cominciare. Forse il segreto è saper riconoscere la differenza che intercorre tra lo strumento e il risultato. Per ottenere risultati sono utili gli strumenti. Ma non basta. NON comprerò mai un manuale per avere successo. Però mi piacerebbe scriverne uno!

11:35 PM  

Posta un commento

<< Home