10.6.10

Salone Libro Torino 2010

Il programma come al solito è denso e promettente, le aspettative alte, ma quest'anno c'era meno fibrillazione, forse meno provocazione e le sorprese sono state meno sorprendenti del solito.
Visto che ci sono, comincio con le critiche.

L'allestimento dello spazio fiera è diventato, ormai da qualche anno, palesemente insufficiente. Trovare posto alle migliori conferenze, e ce n'erano parecchie, era impossibile. Code, servizio di buttafuori come in discoteca, e schermi troppo piccoli con audio inadeguato all'esterno.
Persiste la questione del biglietto green point per accedere alla Sala dei 500, con relativo bagarinaggio, per cui ho deciso sin dal primo giorno di depennare dalla lista tutte le conferenze con green point, anche le poche tenute in Sala Gialla. Non sono necessariamente le migliori, quanto piuttosto quelle tenute da personaggi altamente mediatici (Sgarbi, Gad Lerner, Messner, Bindi, ecc.), tuttavia mi è dispiaciuto non ascoltare Umberto Eco, Wu Ming e Mancuso.

Diventa insomma necessario sdoppiare queste conferenze oppure trovare spazi più adeguati, oppure mettere schermi in altre postazioni, possibilmente confortevoli.

Il tema portante era "La memoria, svelata", che non ha avuto però la funzione di filo conduttore per tutti gli interventi e questo ha fatto perdere il ritmo di una visione corale, lasciando spazio a conferenze che seppure interessantissime, sono state palcoscenico di tematiche così varie da sembrare un palinsesto televisivo.

Il paese ospite, l'India, malgrado le presenze importanti, mi è parso celebrato in sordina.

Ed ora passiamo ai momenti migliori, dove svettano a pari merito, nell'impossibilità di fare una classifica, la lectio magistralis di Roberto Calasso sull'India dei miti: "Dalle avventure di Mente e Parola", quella di Tzvetan Todorov su "Letteratura ed etica", quella sulla "Verità: vederla, esprimerla, difenderla", con un'ottima Franca Dagostini, quella su "L'architettura e il territorio della memoria" di Mario Botta e le eccellenti conferenze scientifico-divulgative di Odifreddi "L'India matematica" e di Boncinelli e Benini sui "Congegni della memoria".

Calasso ha un dono, tra i molti, che altri non hanno: riesce ad inchiodarti ed affascinarti mentre lui disserta più che dottamente e ad un livello difficilmente partecipabile; crea l'estasi e la bulimia da conoscenza. La passeggiata tra i miti indiani, tra Manas (primo essere emesso dall'Inesistente, Prajapati), ovvero la Mente, e la Parola, (Vac) rappresentata dagli dei, i Deva svela tutta la drammaturgia del pensiero dell'India Vedica (l'epoca che corre tra il secondo ed il primo millennio avanti Cristo), che è pervasa dal conflitto tra Mente e Parola, che i Greci e gli Ebrei ereditarono ed elaborarono fino a superarlo. Il conflitto rappresenta anche quello tra maschile e femminile, dove Manas è l'elemento maschile e Vac è l'elemento femminile. L'obiettivo è centrato perché instilla tutta la voglia di andarsi a leggere "Ka", che come tutte le opere di Calasso non è semplice. Devo notare che l'elemento femminile porta con sé, nella maggior parte delle culture, l'idea di pericolosità, che ne impone quindi il controllo ed in ogni caso la secondarietà.

Il pensiero ed il sapere precursore indiano diventano più palesi e tangibili con la conferenza di Odifreddi sull'India matematica. Qui scopriamo come partendo dalla forma degli altari indiani - davvero curiosa, a forma di falcone con le ali dispiegate - o di altri simboli di culto si possa affermare senza ogni dubbio che l'India Vedica conosceva già i teoremi di Pitagora, Talete e Euclide. È stata bellissima la dimostrazione del raddoppio del volume di un cubo, illustrata con sapidi aneddoti. La capacità divulgativa di Odifreddi non è più da scoprire ed il talento sta tutto nel far capire ad un pubblico di non addetti senza fare concessioni alle semplificazioni che sovente sono traditrici.

Speculare a questa abilità di Odifreddi è purtroppo l'incapacità comunicativa di Yves Bonnefoy, un ospite più che prestigioso, insignito per l'occasione del premio "Alassio Internazionale" 2010 e che ha tenuto una lezione magistrale su "Leopardi e la memoria delle parole". Nonostante lo ami ardentemente, lo stimi prepotentemente, lo attendessi tenacemente, ebbene ... mi sono addormentata! Ho cercato di rimanere sveglia ma nella testa ad un certo punto girava solo "che palle". Bonnefoy va letto ma non ascoltato.

La lectio magistralis di Mario Botta su "Architettura e territorio della memoria" è cominciata così: "esisto perché mi ricordo"? L'architetto deve porsi anzitutto la domanda "che senso ha oggi costruire una casa, una scuola, un palazzo?" ed andare alla ricerca della reciprocità tra passato e presente. Ci ha ricordato che il valore iconico (monumentale) di un'opera non è legato alle sue dimensioni ma all'identità che rappresenta, e questo sottolinea prepotentemente come nel mondo globale l'identità locale diventi ancora più importante.

L'architetto in tutto questo, come ogni artista, deve interpretare la realtà ma anche i bisogni. L'uomo non ha bisogno solo di spazi funzionali, ovvero tecnici, ma anche di spazi che lo facciano sentire parte della sua storia, che si trasmette con la memoria. Una città europea insomma non sarà mai rappresentata solo da gloriosi grattacieli o edifici altamente tecnologici, e questo perché l'Europa ha una sua memoria storica che la identifica e nella quale i suoi cittadini hanno necessità di riconoscersi. E poi Botta ci ricorda che quello stesso uomo, organizzato nella comunità cittadina, ha comunque bisogno di luoghi dello spirito, siano essi spazi del sacro o della cultura. L'architetto insomma non può fare a meno di confrontarsi con la memoria dei luoghi, che è poi la memoria dei popoli che li abitano.

Mi viene in mente la straordinaria conferenza di Renzo Piano cui ho assistito quest'inverno a Bordeaux:


un susseguirsi di immagini di realizzazioni tanto diverse quanto i luoghi che le ospitano, in cui l'approccio dell' "artista" consiste nell'interpretazione di un bisogno attuale che non prescinda mai dalla cultura e dalla storia locale. La realizzazione del Jean-Marie Tjibaou Cultural Center di Noumea in Nuova Caledonia, destinata ad accogliere le istanze per lo sviluppo della cultura contemporanea Kanak, è strabiliante, in considerazione delle tecniche e delle tecnologie utilizzate dall'architetto. La volontà era di inserire nel territorio delle forme presenti nella realtà e nello spirito dei luoghi, nella fattispecie i gusci dei cocchi, ma anche di sfruttare le caratteristiche naturali, come il vento, come risorsa energetica per le necessità abitative degli edifici.
Chapeau Monsieur Piano!

Nella sua lezione magistrale Todorov ha affrontato l'eterna questione del legame tra etica ed arte ed il capovolgimento operato nel XVIII secolo con il rifiuto di assoggettare l'arte alla morale. L'arte deve perseguire la bellezza e non può quindi essere costretta da criteri utilitaristici. Il cambiamento è dovuto alla secolarizzazione ed alla democratizzazione della società, nella logica di dissoluzione delle gerarchie. Tuttavia ci fa notare Todorov che dal momento in cui sono i lettori ed in generale i fruitori che giudicano, si prepara la tirannia del mercato, che infatti non ha morale. È tutto già scritto insomma nel passaggio dal Classicismo al Modernismo.
Se tuttavia per apprezzare l'arte non possiamo più utilizzare i criteri classici e rifiutiamo di assecondare quelli moderni, come se ne esce? Todorov prende spunto da Rilke, che nel 1907 definisce quale deve essere l'atteggiamento dell'artista per produrre la sua opera: "(l'artista) non deve descrivere il suo amore per le cose, ma deve piuttosto amare le cose per parlarne".
Dunque il vero artista non sottomette il mondo a sé, ma si sottomette lui al mondo, il che consente a Rilke di affermare che c'è "consumo di amore nella creazione".
Tuttavia è lecito chiedersi se un atteggiamento così amorevole ed empatico possa dirsi privo di morale ... Anche Flaubert propone, interpretando le parole di un suo famoso personaggio, che la Grande Arte consiste nell'eliminazione dell'Io. È dunque atto morale abbandonare l'Io per votarsi all'interesse, se non all'amore, per il mondo, così che la ricerca della verità è un atto morale perché prevede l'allontanamento dall'Io.
La creazione artistica ha quindi un'essenza morale intrinseca data dal suo obiettivo (conoscere ed amare gli altri) e non come presupposto.
La verità di un'opera non risiede nel suo autore o nei suoi lettori, infatti un'opera può essere profondamente morale mentre il suo autore non lo è. Di questo abbiamo in effetti ampie conferme. Questa considerazione non può che rimandarmi però, soprattutto nella società attuale i cui modelli sono spettacolarizzati e super mediatizzati, alla questione dell'esemplarità. Quanto è difficile prendere esempio solo dall'opera e non da chi la compie? La scena attuale (politica, ovviamente, ma anche artistica) pone più che mai questo problema ...

Concludo con la straordinaria e troppo breve conferenza di Edoardo Boncinelli che ha illustrato cosa sia la nostra memoria, dove risiede fisicamente e quali rapporti intrattenga, per così dire, con la nostra psiche. Oltre al fatto di non avere una singola collocazione nelle aree cerebrali, la memoria è costituita da sequenze di eventi, affettività e senso del tempo. Già questo dato è di per sé stimolante, perché impone di capire cosa siano le emozioni e cosa significhi il tempo. Non voglio riportare qui la quantità di informazioni preziose fornite durante la lezione perché ho comprato il libro "Mi ritorno in mente" di Boncinelli, edito da Longanesi, che ho letto e di cui suggerisco caldamente la lettura: imperdibile! Scientifico ma non pesantemente accademico, onesto e non propagandistico, il libro illustra lo stato delle attuali conoscenze del nostro sistema neuronale, ma anche lo stato delle enormi non conoscenze su cui si investiga, primi fra tutto l'Io, l'autocoscienza e la coscienza: chi sono, cosa sono fisicamente, quanto pesano sulla nostra vita umana.
Un'esca però la getto, perché è succulenta: la coscienza, afferma Boncinelli, è una sorta di grande imbuto che prende i segnali neuronali (elettrici) paralleli e li trasforma in segnali seriali. Per studiare cosa sia la coscienza è necessario studiare il processo di serializzazione degli eventi ....

3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

scrivi sempre meglio.
cioé, trasmetti la passione, la partecipazione, come un'idea in cui credere, come se fosse tutto vero.
poi te ne esci con: " la Grande Arte consiste nell'eliminazione dell'Io" che consiste in un'enorme verità nascosta che annullerebbe tutto il resto ad essere precisi, e tuttavia prosegui, indefessa, sana, vitale, col vento in poppa,
nel senso di a favore, da dietro.
brava.

1:03 AM  
Blogger Letizia said...

Caro/a Anonimo, troppo onore! Grazie comunque, ma spero sia chiaro che ho riportato per lo più il pensiero altrui, con scarse mie considerazioni a margine. Sul fatto che la grande Arte consista nell'eliminazione dell'Io, a pensarci bene, e senza nulla togliere all'etica che ne consegue, ecco, io non ne sono troppo sicura. Questo "Io", spesso molto ingombrante, è anche l'unico autore del "dono" fatto (eventualmente) agli altri. Cancellarlo proprio mi pare pure ingiusto ...
Ho proseguito indefessa perché il vento in poppa me lo ha messo Boncinelli (tra l'altro nel suo libro spiega doviziosamente cosa sia, allo stato dell'arte (sic!) questo "Io"), capisci, ancora una volta sfrutto carburante altrui.
Ciao :)

5:13 PM  
Anonymous Anonimo said...

ah le neuroscienze.
anche Buddha, prima di Boncinelli, ha detto due o tre cose interessanti su questo "Io" e sulla coscienza eccetera.
tuttavia è comprensibile che questa famosa "eliminazione dell'io" possa essere fraintesa. niente di male.

11:44 PM  

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