18.4.03

Un manifesto: cittadinanza depressa

Pasqua è l'occasione per qualche piccola riflessione, certamente indipendente dalla fede (religiosa, politica, di appartenenza ...) di ciascuno.
Lo smarrimento che sento - lo sento, si taglia a fette - pervadere tutti coloro con cui entro in contatto, diretto o comunque mediato, è una catena sottile e perversa.
Si trasforma in insoddisfazione, senso di impotenza, rassegnazione ed infine tristezza.
Comunque si vogliano valutare gli eventi che stiamo vivendo, essi portano il segno dell'ineluttabilità, perché spacciano la logica della paura e con essa il bisogno di difendersi (ma da cosa? è veramente chiaro da "cosa" dobbiamo difenderci?), seguito dal ripiegamento su sé stessi, sulla certezza di ciò che crediamo conoscere, infine ci ammutoliscono.
Ed è su questo silenzio che vengono costruiti gli scenari prossimi venturi, identificati i nostri bisogni ed i "valori" attraverso i quali essi dovrebbero soddisfarsi.
Indignarsi e trovare conforto nelle proprie certezze significa insomma avallare lo status quo. E lo status quo è tanto per cominciare lo smarrimento, l'incapacità di capire quale sia il meccanismo efficace, oggi, per rappresentarlo, piuttosto che lasciarlo tacere nel nostro animo.
Non ho la risposta perché la posta in gioco è grande per essere affrontata a livello individuale e ognuno di noi sa, per essersi illuso di aver praticato una certa democrazia, di non poter parlare mai per tutti.
Tuttavia lo stallo va rotto e per farlo ci vuole un impegno, ci vuole una piccola fatica.
La depressione sociale è la nuova malattia che riecheggia una sorta di oscurantismo medievale. La consapevolezza di tutto quello che abbiamo non basta ad appagarci: siamo liberi di esprimerci (ma non serve ...), disponiamo dei generi di prima necessità (ma li sprechiamo ...), possiamo curarci e farci assistere (ma di fatto la qualità di questi servizi è sempre più legata alla capacità economica di ciascuno), possiamo informarci (ma l'informazione è talmente tanta ed invasiva da diventare inefficace), possiamo concederci alcuni confortevoli extra (week-end vacanzieri, gadget tecnologici ...), e via dicendo.
Non ho risposte, no, ma alcune certezze sì:
- non vogliamo vivere nello smarrimento
- vogliamo che la democrazia smetta di essere il vestitino della festa, usato per avere accesso al dibattito, ma di fatto privata dal suo criterio fondante: la rappresentatività
- vogliamo che gli ideali ed i valori universalmente riconosciuti (uguaglianza, fratellanza, libertà, rispetto ...) non rimangano nell'utopia delle parole, destinati all'impraticabilità, al compromesso, alla mediazione.
Non si può mediare su tutto. Non sui fondamentali.
Allora ecco una proposta concreta, per noi occidentali ubriacati di benessere e di smarrimento.
Non a caso oggi è venerdì santo, e ancora una volta me ne approprio solo simbolicamente, come giorno per l'elenco delle rinunce.
Piuttosto che digiunare (anche se a molti farebbe bene!), potremmo dedicarci questa sera a redigere in famiglia un piccolo elenco delle cose di cui NON abbiamo bisogno: non abbiamo bisogno affatto, oppure in parte.
Credo che avremmo molte sorprese, proprio dai nostri figli.
Possiamo mangiare meno, vestirci meno, viaggiare meno, consumare meno, di tutto.
Perché io non voglio più essere un "consumatore" da adulare, se non chiaramente adescare, non voglio più essere un "cliente" e come tale da servire solo se pago, non voglio più essere un "utente" acefalo.
Voglio essere un "cittadino".



=> Per la speranza e contro lo smarrimento, una poesia Tuareg:

"Quell'uomo non è morto
- anche se la morte crede di averlo ucciso -
se il suo pensiero, con tutta la sua forza
e la sua saggezza, rimangono
vivi tra i vivi
."