15.1.04

Il sopra e il sotto: ragionando su Mirò (solo un po', però ...ò ... ò ... ò

Il sovvertitore Mirò, quello che sulla base delle sue stesse parole si potrebbe definire "l'assassino della pittura", fu tra i primi del periodo surrealista a ribaltare la tecnica, da lui aborrita, a partire dal supporto. La prepotenza dei suoi fondi, che fossero fatti di colore o di legno o altri materiali portati in superficie attraverso i collage, mi ha sempre incuriosito, oltre che istintivamente attratto.

Ho diversi poster di Mirò per casa, fanno allegria e fanno compagnia, e quegli occhi vaganti non sono affatto inquietanti. Fermandomi a guardarli ho cominciato a chiedermi se fossero sotto, ad osservare quello che il pittore ci ha schiaffato sopra, o se non sia il contrario, stiano sopra, accomodati a godersi lo spettacolo pirotecnico che è stato messo ai loro piedi.

Per Mirò era importante cosa ci fosse sotto, materialmente, a sostenere la sua pittura. Come a dire che non si costruisce nulla, nessuna buona idea, o immagine, o proposta, non si costruisce futuro che non sia compatibile con ciò su cui lo vai a poggiare.

È ancora più strabiliante il contrario, però. Estrarre, il sotto, portarlo in superficie a fare primo piano, ribaltando la chiave di lettura, e questo senza far ricorso ai giochi di prospettiva.
Mi sono venute in mente cose curiose, tipo: le formiche ci vedono, noi e le nostre carabattole, sempre di sotto in su. Che effetto ci faremmo a guardarci da sdraiati per terra?
Gli uccelli ci vedono sempre da sopra, antesignani dei satelliti, e dei nostri sguardi non sanno cosa farsene.
Noi ci organizziamo ad altezza d'occhio, con una sfasatura, in età adulta, di una trentina di centimetri.
E questo è il sopra/sotto.

Poi c'è il dentro/fuori. Che potrebbe essere una sorta di esperimento psicoanalitico.
Intanto la fantasia dell'abbigliamento avrebbe una superficie decisamente maggiore con cui trastullarsi. Piercing polmonari, collane intestinali - la danza del ventre sarebbe un concerto! -, anelli vertebrali!!!, cincillà stomacali anticolpodifreddo ... E poi: organizzazione e regole "nell'anima" e pensieri e desideri allo scoperto.
Mi domando: riusciremmo ad avere pudore delle regole sociali e a farci frustrare dai desideri espressi?

7.1.04

Pascal Quignard: la lettura è erranza

... afferma Pascal Quignard, che ha ottenuto nel 2002 il premio Goncourt per il libro "Les ombres errantes" (le ombre erranti), di cui ho qualche difficoltà a dare una definizione, non è un romanzo, non è filosofia pura e dura, sono pensieri? sì, ovvio, ma in fondo è giusto il titolo, sono erranze. Il libro non è ancora tradotto in italiano, così mi permetto di offrire qualche passo, sul quale c'è di sicuro materia di discussione.


"Chi non ama ciò che egli ha amato? Bisogna amare il perduto ed amare fino al passato nel perduto.
Fino al giardino dell'estinzione della natura e fino al Paradiso nel Giardino.
Bisogna amare la mancanza e non cercare di emanciparsi da essa.
Bisogna amare la differenza sessuale;
amare la nudità negli orifizi della nudità;
amare la perdita.
Bisogna adorare il tempo
."

* * *

"Bisogna rinunciare all'idea di libertà per poter disobbedire ancora. Bisogna rinunciare all'idea di libertà per potersi emancipare ancora. Bisogna detestare l'adesso, ciò che ci aggrappa all'adesso, ciò che tenta di mantenere la realtà e la tensione delle forze che la bloccano. Bisogna odiare ciò che vieta l'accesso all'imprevedibile e all'irreversibile. Bisogna amare l'irreversibile. Bisogna scavare la differenza tra l'avvenimento ed il linguaggio.
Non bisogna mai uscire dal tempo che fu, dal corpo, dalla propria gioia, dal peccato, dalla genialità, dal silenzio, dalla vergogna, dall'aneddoto, dal "c'era una volta", dal privato, dall'incomprensibile, dall'incompleto, dal capriccio, dall'enigma, dal più umile dei fatti di cronaca, dal più ridicolo "si dice" che risale alla prima infanzia
."


Quello che amo in questi scritti è la forza del dinamismo, del non lottare contro gli eventi della vita ma lasciarsi a loro, per viverli, per superarli, per farli diventare il proprio passato che quindi si deve amare, unico quindi motivo di emancipazione. Lasciarsi andare non vuol dire subire. Vuol dire mettere ciascuno dei nostri neuroni al servizio della vita, per captarla tutta, prendendo anche il male, il dolore, come la gioia.
Certo accettare "l'irreversibile" mi suona strano. Mi fa paura, a dire il vero.
Ma a pensarci bene, in questo passaggio tra passato e futuro l'irreversibile è solo la possibilità di percorrerli nelle due direzioni.
Quante cose sono irreversibili? Ma non è geniale immaginare che proiettando il futuro nel passato in realtà ci sia un modo per rendere reversibile anche ciò che è stato?

E che dire poi dello scavare il solco tra fatti e linguaggio? come dire, le chiacchiere stanno a zero, o forse fatti e parole non si corrispondono per definizione e dunque è ben non farli corrispondere. Carina questa.