27.4.08

Caccia all'errore

Stiamo tutti cercando di capire cosa bisogna cambiare, perché abbiamo perso tutti a sinistra:
- il PD, che non ha sfondato un bel nulla, perché se ha mantenuto i voti della ex coalizione è al prezzo della scomparsa della sinistra arcobaleno;
- la Sinistra Arcobaleno, che certamente ha pagato un prezzo alto all'antipsiconanismo per una forma suicida di solidarietà chiamata "voto utile", ma non solo per questo (ci torno subito).

- Di Pietro ha vinto, non c'è alcun dubbio, perché ha rastrellato voti dalla Sinistra Arcobaleno (vedere la folta schiera di micromeghisti, tra gli altri) e da qualche centrista, ma non solo per questo (e vedremo che va di pari passo con la crisi della sinistra vera).

- Poi c'è il problema della legge elettorale, a mio parere sbagliata non solo tecnicamente, ma profondamente nel senso democratico: non è certo questione di mantenere in Parlamento 30 partiti, ma neanche di averne solo due. E ritengo personalmente che la logica delle coalizioni, con ovvio patto di programma, sia una forma ineludibile di garanzia democratica e soprattutto di RAPPRESENTATIVITÀ.

Tra le tante anomalie italiane che ben conosciamo (psiconanismo, malattia a rischio di genetizzazione, gravissima!, clericalismo opportunista e affarista, sistema bancario e finanziario fuori norma, collusioni mafiose e golpiste fuori da ogni percentuale "endemica", ecc. ecc.), queste elezioni ci buttano in faccia - sempre a mio personalissimo parere - la catastrofica mancanza di un partito socialista degno di questo nome, e quindi popolare e progressista. Vorrei cominciare a togliere di mezzo la parola riformista, perché non significa assolutamente nulla, è pura tautologia, poiché al Parlamento eletto democraticamente, chiunque ci vada, si fanno le riforme.
Avranno pure imparato qualche micro concetto di comunicazione, a "sinistra", ma si sono fermati a pagina 20 su 400 del manuale, dimenticando di eliminare le parole vuote, ma che secondo questi signori dovrebbero fungere da "sdoganatori", degne dei peggiori affabulatori e retorici. Verso pagina 200 avrebbero pure letto che una classe politica intellettualmente onesta e degna di questo nome sostituisce ben presto la parola "comunicazione" con quella più onesta, utile e trasparente di "informazione". Ma questa è ancora un'altra storia e ne parleremo in altro post.

Dunque è mancata l'idea (e pure l'ideologia e l'utopia) di avere un'identità precisa, chiara, certa, da amare e difendere, con tutti i valori e i principi che ci stanno dentro, alcuni negoziabili, altri no.
A partire da questa considerazione, ce n'è per tutti.

- Il PD ha perso perché non ha un'anima, un'identità sua; si è proposto per il cambiamento dimenticando che seppure piena di ignoranti (non istruiti, intendo), l'Italia è popolata di persone pensanti e pure raziocinanti. E la proposta politica e programmatica del PD non aveva nulla di particolarmente allettante o differente da quella della destra.
È chiaro che alcune differenze ci sono e che globalmente governa meglio la sinistra, ma lo scarto è minimale ed impercettibile, almeno in merito a tutta una lunga serie di urgenze con cui l'Italia, in particolare, deve fare i conti. All'emergenza non ci sono molte risposte, spesso solo una, dura e raramente condivisibile; ecco perché non bisognerebbe starci, nell'emergenza. Ma tant'è.
Peggio ancora, dando i calci all'anima che si vuole più a sinistra, ha perso pure l'ultimo brandello di profilo.
In questi termini, ho sempre pensato che la scivolata al centro fosse un errore madornale, speculativo, di pura facciata e non suffragato da idee o fedi, e nemmeno da uomini validi.
La prima miopia è stata quella di binarizzare la scelta: o al centro o a sinistra, troppo radicale e quindi troppo rischiosa.
Cosa resta allora? Lo chiedo sinceramente. Cosa resta? Aria fritta, un po' cattolici e un po' no, un po' legalitari e un po' no, un po' ambientalisti e un po' no, un po' guerrafondai e un po' no. In fondo Veltroni non ha fatto che dirlo "ma anche ...".

Un partito "socialista" odierno non è certo quella roba che è morta con Craxi, sia chiaro; una buona approssimazione è proprio quello di Zapatero oppure quello dei paesi nordici, purtroppo però troppo lontani dalla nostra storia e non afflitti da vaticanismo integralista.

Poi bisogna avere il coraggio, che non è ovviamente quello di cambiare nome e alleati, come fanno un po' tutti dalle nostre parti. Il coraggio di avere anzitutto delle idee, alte se possibile, e di metterci accanto delle strategie politiche. Poi si può pure perdere, perché è giusto e fisiologico, ma si è qualcosa di riconoscibile, in cui le persone possono riconoscersi.

- La Sinistra Arcobaleno sono troppi anni che deve fare questo stesso lavoro. Se si vuole come forza di opposizione (ed è bene che ci sia un'opposizione vera, dura e intransigente, altrimenti si vive solo di inciuci) e quindi non governativa, può permettersi qualche lusso in più. Ma che la società cambi non si può ignorarlo, anche se cambia in peggio e non ci piace. Sulla politica energetica o su quella dell'emigrazione, per esempio, le proposte della SA sono impraticabili, almeno in larga parte e nell'immediato. Ma è nell'immediato che tocca agire ...
Non si può volere la solidarietà e l'accoglienza senza fare i distinguo indiscutibili sulla legalità e sulla capacità recettiva reale di un paese.
Una persona incriminata di un fatto va difesa e garantita, ma per poterlo fare bisogna anche condannarla e sanzionarla quando diventi chiaro che è responsabile del reato che le viene ascritto.
Fuori da questa banalissima equazione non c'è neanche più la solidarietà, che un paese come l'Italia deve a chi è privo di risorse morali e materiali.
Sulla politica energetica i Verdi italiani hanno compiuto un disastro unico in Europa, solo perché sono quattro ignoranti, beceri e apolitici. Le politiche ambientaliste non si fanno con i veti ma instaurando lentamente ed inesorabilmente una cultura tutta nuova, che richiederà decenni per essere recepita, ma è fondamentale iniziare. Il tutto o niente non funziona.
E poi la legalità, opzione fondamentale per qualsiasi democrazia, che tutta la sinistra ha messo nel cassetto per chissà quale storto timore. Anche qui, quanto poco senso si è dato alle parole! Tra giustizia e giustizialismo ce ne corre!

E ancora, la SA non sa palesemente da troppi anni dove sia andato ad annidarsi il disagio, la povertà, la miseria morale che è premessa di tante stragi, private e pubbliche.
Non si tratta certo di dimenticare gli operai, ma si sono aggiunte ahimè altre urgenze rispetto a 30 anni fa. I poveri sono i giovani, i lavoratori dipendenti, i pensionati, le donne (sempre più schiave, minoritarie e ormai condannate al triplo lavoro: casa loro, fuori casa e casa dei parenti anziani).
A nessuno a sinistra è venuto in mente che una delle cose che impoverisce di fatto queste persone è un'amministrazione della cosa pubblica a livello di quarto mondo (quarto, non terzo); a nessuno è venuto in mente che un lavoratore italiano o un pensionato per avere un certificato (spesso inutile o sbagliato, perché viene sistematicamente male informato) deve prendersi mezza giornata di congedo NON pagato oppure piatire un accompagno; a nessuno è venuto in mente che un sistema giudiziario privo di mezzi materiali non può fare nessuna giustizia e diventa così giustizialista di fatto, inutile e costosissimo, ma solo e sempre per i poveri, perché quelli come lo Psiconano i mezzi per pagare avvocati e gradi di giudizio li hanno senza problemi.

Miopia, troppa miopia esercitata al riparo da parole svuotate di senso.
E tanta tanta retorica, che non riempie più pancia a nessuno, perché ora che l'Italia non può più fare ricorso alla svalutazione, non c'è neanche più il finto benessere.
E si è tornati alla legge del più forte, che poi è la legge del più ricco. Uguaglianza? Solidarietà? Cosa Pubblica? Si sono fumati tutto.

E per queste ragioni va avanti Di Pietro: poche idee ma chiare, poche certezze ma almeno il ripristino dello Stato di Diritto. E come ha ragione! Perché senza lo Stato di Diritto non c'è più niente, ma niente, solo gli psiconani attuali e prossimi venturi, con le loro mafie di lupara e di "alta" finanza.

Mi scuso per la lungaggine, ma il sunto è questo: chi lo rifonderà un Partito Socialista italiano ed europeo, assolutamente laico, dove quindi sarà un peccato gravissimo dichiarare la propria fede religiosa così come il proprio ateismo, dove si vada con in tasca solo i vecchi cari ed attualissimi valori della rivoluzione: libertà, uguaglianza e fraternità?

19.4.08

Thriller




Ci eravamo ampiamente ignorati per molti anni, e lui aveva ragione perché io per lungo tempo ho vissuto i quadri come la TV: passivamente - riposantemente - confesso: egoisticamente. Mi dovevano arrivare addosso di peso, attorcigliarmi tutte le viscere, creare una turbolenza tale che poi mi dovevo per forza fermare e poi guardare, scrutare. Ci siamo incontrati in libreria, lui mi voltava la schiena (una delle sue magie ...), e questo suo disinteresse, questa totale mancanza di piacioneria, del vile strumento comunicativo, mi hanno quasi stizzito; ho deciso di approvvigionarmi di un Magritte by Taschen.
A pagina 6 c'è "L'Empire des Lumières". È cominciato tutto da lì, da questo quadro che al primo sguardo non ha nulla che acchiappa, eppure nascondeva un particolare, come nei gialli di Dario Argento. Ci tornavo sopra, e non sapevo perché. Credo di averlo guardato almeno dieci volte prima di scoprire il giorno e la notte, contemporaneamente. E le luci e le ombre e le scintille sull'acqua e la banalità apparente della casa. La casa è solida e rassicurante, senza sbavature, tutto è estremamente composto per lasciare tutto lo spazio alla dissonanza dell'impossibile.
Non c'è niente di impossibile in un presentazione che non è mai rappresentazione della realtà, per definizione.

Su "Ceci n'est pas une pipe" Foucault ha scritto un breve saggio di semiotica, ma pur amando molto Foucault, ho trovato che la sua razionalizzazione togliesse troppi veli; un lavoro che Magritte penso volesse lasciare al percorso di ciascun osservatore.
In Magritte è forte l'effetto thriller, in questo senso è spettacolare e cinematografico. Ogni particolare è un bandolo della matassa che bisogna seguire come se si indagasse su un fatto di cronaca: perché poi tale è.

Nessun ammiccamento, nessuna seduzione immediata, Magritte non ti vende nulla, ti volta le spalle perché tu possa osservare non solo con gli occhi, e poi seguirlo.



E comincia un lungo discorso sui nostri sensi che non bastano a sé stessi, che devono essere pensati. Lui non dà risposte, ti mette davanti solo quesiti.
Il rapporto con il bello, secondo il canone estetico, è rimandato all'assurdo che qualsiasi plasticità può celare. Ed è rimandato con un'evidenza implacabile alla sua totale soggettività.

Il piacere di conoscere Magritte significa imparare il piacere di conoscersi, anche dove non c'è altro che la consapevolezza.
Questo "Le Mal du pays", particolarmente disturbante, è stato un enigma di difficile soluzione.



"Un leone ed un uomo con le ali ripiegate non hanno niente da fare su questo ponte. Malinconia di coloro che sanno che la vita vera è sempre un altrove che non esiste", spiega Marcel Paquet.

I titoli dei quadri di Magritte sono la chiave esemplare di lettura e di intendimento della sua rappresentazione pittorica. Da essi comincia quella distanza che esiste tra la parola ed il suo significato rapportato al reale, ma sono anche un prezioso ausilio per la soluzione degli enigmi e la chiarificazione del surreale.

Un esempio per tutti è "La condition humaine":

di cui Foucault dice addirittura: "mescolare perfidamente ... un quadro e ciò che deve rappresentare".
Solo e già a piè di lettera, è la storia di ciascuno di noi, di ciò che siamo e del ruolo sociale che ricopriamo, osservati da fuori, come noi osserviamo ora questa tela. Fatalmente, senza che ci sia una rappresentazione umana, sono qui riprodotti tutti, osservatore ed osservato, in un gioco di ruolo la cui circolarità è palese.
Ieri protagonista del dubbio e del disincanto, oggi maestro del pensiero e delle trappole della comunicazione; la costruzione di un linguaggio comune e non deviante, la ricerca del senso e non degli effetti speciali, nell'immagine e nella parola, sono le premesse ineludibili per uscire dal pantano della comunicazione mediatica e dell'oblio della natura umana.