23.1.17

A ognuno la sua satira


C'è chi la chiama satira e chi la chiama qualunquismo, pressapochismo, vuoto.
In questa, come in molte altre vignette o "articoli" di Charlie Hebdo' trovo l'inno roboante e francamente volgare al luogo comune. Se la cantano ancora con italiani = spaghetti = mafia = mandolino, esattamente come hanno fatto per i musulmani = retrogradi = bombaroli = figlidiundiominore.
Suggestioni? Zero.
Sarà che dalla satira, come da ogni forma artistica, io mi aspetto una provocazione "visionaria", uno spunto, una lettura che vada oltre.
In tal caso, poco importa se sia irriverente, anche perché se si riesce a puntare sulla nudità del re, nulla è irriverente, è solo una verità.
La vignetta in questione non apre gli occhi di nessuno, non prospetta nulla, fa solo lo squallido sberleffo ad un fatto accaduto e riempie la pancia solo a chi si contenta della vulgata facile facile, come quando i comici che non sanno far ridere affastellano parolacce, e più volgari sono, più gli acefali ridono.
Je suis Charlie? No grazie.
Il che ovviamente non ha nulla a che vedere con la difesa, ovvia, scontata e cristallina, della libertà di opinione.
Però le opinioni bisogna averle e veicolarle.
Sennò è aria fritta, e libertà fritta di fare e dire il nulla fritto.
Se poi qualcuno pensa che la satira, come l'Informazione o ogni altra forma d'arte, si debba basare sulla semplificazione, allora bisogna stare molto attenti, perché i messaggi "semplificati" sono sempre stati le potentissime armi dei grandi poteri totalitari.