12.5.08

No Kid

Corinne Maier ci consegna questo "No kid", scritto male e tradotto peggio. Un vero peccato, ma non solo dal punto di vista formale. Le 40 ragioni per non avere figli evocate sono argomentate con la lunga lista di insofferenze, difficoltà, sconfitte e progetti traditi cui un genitore si confronta; la stessa lista è applicabile a qualsiasi rapporto umano sul quale si decide di investire.
Il punto, o meglio i punti non affrontati sono invece quelli del mito della maternità, del suo uso come mezzo di controllo della metà della popolazione mondiale (le donne), della mistificazione dell'amore identificato con quel "dono" di sé all'umanità e quindi dell'atto dovuto e per di più qualificante.
Il figlio si deve amare per definizione, al minimo quale proiezione di sé, e da lui ci si aspetta di essere riamati. Neanche di questo ricatto perverso si parla nel libro.
E questo ricatto diventa la discriminante tra il buono e il cattivo, il socialmente accettato ed il comportamento asociale e reietto.
Non può bastare denunciare i luoghi comuni che circondano maternità e genitorialità. Non basta gridare che un neonato è mediamente brutto e grinzoso, che non ti lascia dormire, che ti pompa tempo ed energie che nessuno ti "rimborserà", che il suo successo scolastico e sociale qualifica il tuo successo. Perché così facendo si resta nella logica mercantile e rivendicatrice di una sorta di egoismo francamente un po' becero.
Bisognerà pur dire, tanto per cominciare, che le ragioni per non avere figli le sostengono quasi sempre coloro che i figli li hanno avuti. Negli altri, chi per scelta, chi per fatalità, regna incontrastata la nostalgia di un'esperienza mancata, di un ruolo sociale menomato, di un'estensione di sé non effettuata.
A questi "menomati" manca la frequentazione di scuole e asili, mancano gli argomenti socializzanti che in una determinata fascia di età appartengono appunto ai neogenitori e che vengono vissuti necessariamente come un'esclusione.
È indubbio che una società per vivere debba riprodursi, ma questa è condizione necessaria ma non sufficiente.
Ad una società serve un progetto, che non sempre è scritto, ma è invece sempre percepito.
Serve la possibilità di credere di poter fare, ancora e meglio, serve poter sognare ed in qualche misura anche illudersi. Altrimenti, una società muore per esaurimento della sua stessa ragion d'essere.
Questa è la storia, fino a quando il secolo dei Lumi ha messo l'uomo sociale e cittadino, al di là del confine puramente nazionale, al centro del suo destino, chiamandolo a prendere coscienza individuale prima e sociale poi, della sua esistenza e del suo ruolo. Così si sono poste le basi affinché l'Uomo non fosse più solo nella sua carne strumento del potere, braccia per l'agricoltura o morituro utile alla barricata e al computo di "unità" disponibili per il macello.
E anche le donne, una volta capito ed accettato di essere persone umane come gli altri, hanno deciso di non partecipare più alla medesima logica dei numeri.
Il controllo persuasivo sul maschio ha operato magnificandone l'eroismo, la forza, il vigore, la supremazia anche intellettuale, la sopraffazione quale chiave di dominio e quindi di potenza.
Il controllo persuasivo sulla femmina ha operato con un'arma ancora più subdola: l'Amore.
La donna mitica è paziente, tollerante, comprensiva, acquiescente, donatrice di vita, monogama e fertile, e a coronamento di questa totale dedizione (o annientamento?) diventa angelo del focolare, vera forza propulsiva, riferimento certo, porto sicuro.
In tutto questo non si capisce cosa sia l'amore e soprattutto perché questo valore così alto e perfetto sia appannaggio solo della donna.

La buona ragione per non avere figli è quella di ripudiare un sistema di controllo e di schiavitù, così come si ripudia la guerra e la violenza.
La buona ragione per non avere figli è che non esiste più nessuna struttura, per quanto fallace, non solo di sostegno ma anche di progetto.
La famiglia, supporto e progetto in sé, non esiste più; ad essa non è succeduta una società altrimenti organizzata in modo plurinucleare ma l'iperindividualismo, e la somma algebrica di tanti individui non basta a creare una società organizzata e quindi proiettiva di sé.
La proiezione di un individuo si esaurisce con la sua vita e nessuna estensione può legittimamente riprodurlo uguale a sé stesso, garantendogli il tempo di essere tutto ciò che ambirebbe. Un figlio non ci continua, un figlio è un essere umano altro, con tutto il diritto di esserlo.
L'amore in una società individualista non può esistere, perché la prima proiezione di sé è orizzontale, è su coloro che già esistono al di fuori di ogni nostra scelta o dovere di consanguineità. E la consanguineità non sancisce un bel nulla, se non qualche similitudine genetica dalla quale peraltro discendono sullo stesso piano tanto il cosiddetto "istinto" protettivo che quello di soppressione.

Maier conclude con l'inno al "preferire di no": no ai figli, no al lavoro, no al telegiornale, no alla competizione economica. Una semplificazione brutale della scelta di non essere complici di una società che muore. Scelta demagogica, accampata quale lucida consapevolezza di non avere nulla da proporre. Demagogica perché il no-ismo accompagna la disfatta, non l'attenua, né la ritarda. Tanto vale non darsi attenuanti e militare apertamente per la distruzione di questo modello sociale, ma denunciandone con chiarezza le ipocrisie ed i falsi miti.