10.7.03

Grande Capo Trocantere Destro


Ci sono pezzi di noi che quando ti mancano fanno più danno di un'amputazione netta e visibile.
Mi sono tagliata un dito, un minuscolo pezzo di mignolo rimasto sul coltello, manovrato sempre troppo frettolosamente. Non riesco più a fare niente: il taglio è stato talmente netto e sbrigativo che lì per lì non ho sentito alcun dolore, se non la staffilatina lieve.
Ma non riesco più a fare niente, le mani incespicano, non tengono, ed ho cominciato col chiedermi se alcuni pezzi di noi abbiano un peso specifico tale da occupare in realtà molto più spazio di quanto la superficie di corpo non conceda loro.
Così succede che un piccolo pezzo, trascurato e che non chiede neanche attenzioni di routine, si faccia spazio e diventi invadente e prepotente. Quanti pezzi di noi sono così? Quante parti trascuriamo semplicemente perché funzionano e sembrano non avere alcuna importanza, particine secondarie, a volte comparse, che poi un giorno si vendicano e chiedono cittadinanza?
Nell'abulia estiva ho voluto cominciare a fare questo conto: mi conto i pezzi, prendo carta e penna e non mi si parli delle tavole del dizionario: quell'energumeno là rappresentato, una volta coi soli fasci di muscoli, un'altra solo le vene e le arterie, un'altra, se va bene, con gli organi funzionali, un'altra tutt'ossa che paion sassi, ecco quel coso lì non sono io e di me rappresenta manco tutto quello che si tocca, o che io posso toccare, farci conoscenza, addomesticare. Quello è una macchinetta, assai ben congegnata, l'essere bionico per eccellenza, ma che c'entra con me?
Dunque conto i pezzi e mi accorgo immediatamente che ci sono un sacco di parti cui non so dare il nome, ed immagino quanto siano arrabbiate a non sentirsi mai chiamare, e se le cose non le chiami, loro non rispondono, e questo è normale, la sillabazione, prima che comunicazione, è riconoscimento.
Gli appunti finiscono presto e resto delusa davanti alla mia lista: questo è un "uomo" (ossia, una donna, ma nella fattispecie fa uguale). Porco giuda che oggettino miserabile. Mi sento per un istante come la lista della spesa, un elenco di roba abbastanza indispensabile che assurge alla dignità di pasto solo quando assembli il tutto con una ricetta.
Ecco, come in cucina, il segreto dello chef sta nelle dosi, nella combinazione di sapori, consistenze e aromi, nella correttezza dei tempi di preparazione, nella dedizione che ci metti (che pare abbia una qualche funzione, l'amore che scappa fuori dalle mani per qualche miracolo energetico entra nella ricetta, pare, pare, mah) e insomma sono entrati in gioco un'altra serie di fattori che finalmente complicano le cose e riassestano il mio amor proprio.
Guardo di nuovo il pezzo di dito leso, mi fa pena, poveraccio, vorrei dirgli due parole, consolarlo, mi avanzo con un asettico "caro pezzetto di dito" e manco ho finito che si scatena il putiferio. Le dita insorgono, tutte. Ferme! buone! e ora come scrivo?, avvicino le mani alle orecchie e sento un ronzio sempre più forte, poi distinguo "pazza furiosa, incosciente! Ignorante, anch'io sono un pezzetto di dito!" e via dicendo, tralascio le scurrilità di cui sono capaci 'ste pazze delle dita. Insomma, ho fatto la gaffe, come quando incontri uno che dovresti conoscere, quello ti guarda, avanza verso di te e tu cerchi di nasconderti dietro la prima signora in coda alla cassa, dietro a un palo, guardi ovunque meno che davanti a te, ma niente, quello arriva e tu non sai come si chiama, e neanche ti viene in mente, e non ti ricorda assolutamente niente, e ora come si fa?
Missione impossibile, cerco di svicolare, prima lo chiamo Giacomino, poi mi rendo conto dell'assurdità del tutto, di quanti pezzi unici siete fatte ditacce del cavolo? Di quanti pezzi unici siamo fatti e come fare per chiamarli tutti? Sbatto un piede a terra per richiamare tutti all'ordine e proclamo: editto primo: ciascun pezzo si presenti, generalità, indirizzo e via dicendo. I pezzi che non si saranno presentati al censimento non avranno diritto alcuno al riconoscimento di cittadinanza ed agli innumerevoli vantaggi che essa rappresenta (lusinga ruffiana, ma dovuta).
Qualcuno ha urlato: "A chi dobbiamo presentarci? si presenti l'edittorialista, intanto!".
A questo non ero preparata, devo confessarlo. Volevo fare la conta, dare un nome, riconoscere, e mi ritrovo con la rivoluzione addosso e quel che è peggio non posso neanche sedarla con la forza!
A chi devono presentarsi, ma guarda tu che razza di domande ti fanno i tuoi pezzi. Faccio un giretto rapido per vedere se i neuroni hanno una risposta plausibile, possibilmente univoca, datemi il nome del capo, accidenti, mai avrei pensato che un capo serve davvero, niente, non si trova il capo, e non so chi sia quello che sta pensando tutto questo, perché è anche lui un singolo pezzetto di cervello, e neanche lui si può nominare, e poi guai! se entra in sommossa il cervello siamo fritti.
Ho solo due soluzioni e devo sbrigarmi a sceglierne una: nessuno fa il capo, accettiamo la logica dei compartimenti funzionali, e il primo che fa sciopero son cazzi nostri. Oppure nominiamo un capo, che so, Grande Capo Trocantere Destro, e siccome non s'è mai visto un dittatore che conosca uno per uno, e per nome, tutti i suoi sudditi, si rientri nei ranghi e non se ne parli più.
Intanto le dita continuano farneticanti a ronzare: "vogliamo le elezioni! libere elezioni!" e mi accorgo che il ronzio comincia a risalire lungo il braccio, il fervore aumenta e la tensione pure.
Se il corpo comincia ad avanzare istanze corporative chi si curerà poi del povero pezzetto di dito misconosciuto e senza potere contrattuale?
Mentre io ragiono stoltamente di politica la rivolta si è ormai estesa, fuori controllo e si cominciano a vedere striscioni e cartelli: "circolazione libera, atri, ventricoli siete un po' ridicoli, firmato comitato centrale arterovenoso", "aria libera, senza combustioni? Levateci la gabbia, firmato i polmoni" e varia altra robaccia tra cui un lenzuolone in cui l'intestino minacciava di riappropriarsi di spazi vitali a lui più consoni e di invadere, srotolandosi, schiena e braccia e gambe e si salvi chi può.
Quand'è così urge un terremoto. Mi butto in acqua e il cambiamento di stato richiama tutti all'ordine, ognuno intento ad aggiustarsi al nuovo ambiente. Silenzio. Tutto si è fatto improvvisamente leggero, avverto una certa gratitudine da parte di un numero considerevole di pezzi che non devono più puntellare tutta l'impalcatura.
Eppure il peso specifico del pezzo di dito è rimasto alto, duole e non si rassegna: ricrescerà, ma non sarà più lo stesso e sta lì a dirmi che non è vero che nessuno è indispensabile e che tutto si sostituisce, non è vero, e lui stava bene com'era e che io avrei fatto bene a non usare armi improprie e ora, a futura memoria, mi lascerà un segno e su quella cicatrice non ci sarà più sensibilità, sarà roba morta, colla non mia, e nessun pezzo di me la riconoscerà.
La signora Valvola Tricuspide, che non si sfiata mai, come una comare nel vicolo, mi informa che non esistono capi senza sudditi, e poiché dalle nostre parti (sic!) i sudditi sono irreperibili, la mia politica politicante lascia il tempo che trova. Anarchici siete, oso sprezzante sentendomi di colpo disarmata. No, solo co-ordinati, risponde insofferente. Macché, siete invece pre-ordinati, voi e le vostre saccenti corporazioni. La sento infuriarsi per la mia ottusità, e più lei sgamba, più mi sento sussulti lungo l'esofago intervallati da leggere apnee.
"Noi impariamo a stare insieme, e non sempre ci riesce. Io per esempio non vedo affatto di buon occhio il signor Colon Discendente, che ogni volta che lavora abbassa l'efficienza di tutto il resto, per non parlare di quella comunità di farabutti in cui militano il Peroneo Lungo, il Vasto Laterale, il Gastrocnemio e non li sto ad elencare tutti che sono pure cacofonici, ma insomma hai capito, quelli che a volte corrono, scarpinano, piegano, e a quelli come noi non resta che compensare, assuefarci e sopportare. Si impara, si impara dal primo all'ultimo giorno, e si cambia, ci si adatta".  Questa poi!
Dunque dovrei rassegnarmi al paradosso che le parti sono più grandi del tutto che le contiene ... eppure non è vero, tutto è numerabile, tutto quanto sia in uno spazio finito, delimitato, e la sillabazione è intellettualmente ciò che l'enumerazione è fisicamente ed algebricamente.
Il dito geme, indifferente alle mie considerazioni vagoscientifiche, e gli prometto di nominarlo: in fondo è l'unico modo che conosco per dirgli che ogni sua parte mi è cara, per concentrarmi su di lui, come un giorno su qualche altro pezzo che cadrà in disgrazia. Non vorrei trovarmi nella situazione di Polifemo e a dover rispondere alla domanda "chi ti fa male?" con un bel "nessuno".
Ricomincio la lista: Giacomino ...